LA CANTINA DELLA SFIDA: LA
CULLA DELL’AMOR
PATRIO
COME, DOVE, QUANDO E PERCHÉ DIVENNE PROPRIETÀ COMUNALE
Il 13 febbraio saranno trascorsi già 3 anni dalle celebrazioni
del 500° anniversario dell’ormai celeberrimo fatto d’armi
che vide protagonisti Ettore Fieramosca con i suoi compagni d’arme
e il “nemico” d’oltralpe Guy de la Motte. In molti,
ove fossero interpellati, potrebbero rispondere che l’avvenimento
sembra sia accaduto solo qualche mese fa, vista la mobilitazione
mediatica internazionale (televisione e giornali) che ha accompagnato
l’intero anno di (sacrosante) celebrazioni che si sono svolte
nella nostra e in molte altre città italiane in onore di quei
13 indimenticabili eroi che difesero il nome di una patria che all’epoca
era più divisa che mai.
Abbiamo detto che molti ricordano con piacere quel 2003 così speciale,
ma non tutti. Infatti potrebbe esserci qualcuno che “sazio” di
tante parole sull’avvenimento potrebbe sommessamente esclamare:
ancora???
Tranquilli, quello che ci interessa analizzare non sono i festeggiamenti
e le iniziative riguardanti la ricorrenza, vista anche la completissima
opera “Quinto Centenario della Disfida di Barletta 1503-2003
- Agenda delle celebrazioni” curata da Renato Russo, edita
dalla Rotas, bensì è nostra intenzione puntare la lente
su un particolare che ai più è sfuggito o che non
poteva ottenere un posto rilevante tra i tantissimi altri argomenti
che
hanno riempito le giornate di un anno molto speciale.
Ci riferiamo, ovviamente, al luogo (vero o presunto?) dove tutto
ebbe inizio. Come l’Africa si dice sia stata l’ombelico
del mondo, così la Cantina della Sfida è stata la progenitrice
di un avvenimento che ha compiuto ormai ben 503 anni e secondo alcuni
(illuminati!) storici, la scintilla per quella riscossa patriottica
che quasi tre secoli dopo porterà all’unità d’Italia.
Naturalmente la nostra non vuol essere l’ennesima ricostruzione
degli avvenimenti (la [S]toria agli [S]torici) bensì l’interessante
cronaca di un acquisto mai tanto azzeccato (solo il Castello fu più grande!)
effettuato dal Comune di Barletta.
Tutto ebbe inizio con una lettera inviata in data 10 novembre 1928
dal Commissario Prefettizio dott. Vito Lattanzio alla signora Giuseppina
Panunzio vedova Massari residente a Firenze in viale Milton n.
3. In quella missiva il dott. Lattanzio chiedeva notizie relativamente
al fatto che “… nel Palazzo di Sua proprietà in
Piazza della sfida, già casa Damato, vi è un quarto
sfitto che questo Comune avrebbe designato di prendere temporaneamente
in locazione per uso di Ufficio Leva. Nel pregare vivamente di compiacersi
farmi conoscere con cortese sollecitudine quali sono le condizioni
di fitto, Le sarò grato se, con l’occasione, volesse
compiacersi manifestarmi altresì quali sarebbero le sue eventuali
richieste ove mai (!!!) il Comune progettasse l’acquisto dell’intero
stabile costandomi che Ella era intenzionata di vendere detto immobile…”.
La risposta naturalmente non si fece attendere ed appena tre giorni
dopo (altro che posta celere! n.d.r.) il 13 novembre 1928 la signora
Giuseppina Panunzio dalla sua abitazione, sita in via Cernaia 1
a Firenze e non in viale Milton n. 3, rispondeva che “… il
fatto del quartiere ch’Ella si compiace di chiedermi per codesto
Comune è di £. 300 mensili. Circa poi le sue richieste
per un’eventuale vendita dello stabile mi riservo farle conoscere
in seguito ad informazioni sul valore attuale del suddetto”.
Ancora dopo nove giorni il Commissario Prefettizio ringraziava la
signora Panunzio per “ … la sollecita premura datasi
nel rispondere e ove Ella non volesse disfarsi di tutto l’immobile
gradirei almeno conoscere a quali condizioni cederebbe il sottano
a pian terreno già adibito a cantina e che attualmente è occupato
dal carbonaio Vivaldi”.
Dopo una contrattazione durata meno di un mese e a fronte di una
contro offerta effettuata dal Comune di Barletta nella misura di £.
200 prima, poi elevata a 250 “… per dimostrarle quanto
questo Comune sia animato da sensi conciliativi …” in
data 27 dicembre 1928 la proprietaria dei locali accettava di concedere
in fitto i locali per la somma annua di £.250 e comunicava
che “ … per la presa di possesso del suddetto quartiere
possono rivolgersi al mio amministratore avvocato Luigi Frezza”.
Con contratto privato stipulato in data 25.02.1929 il Comune acquisiva
in fitto i locali di proprietà della signora Panunzio.
La corrispondenza tra la proprietaria della Cantina e il Commissario
Prefettizio, che pressava sempre di più, divenne molto fitta
fino a quando la Panunzio con lettera datata 12 febbraio 1929 comunicava
che “ … la rendita lorda annua del quartiere complessivamente
ascende a £. 12.000 circa”. A fronte di tale richiesta,
il Commissario Lattanzio dietro sollecitazioni che giungevano dal
signor Michele Viterbo Commissario della Provincia di Bari, relazionava
sull’iter della contrattazione spiegando che “… per
venire incontro al riscatto ed all’acquisto della casa della
signora Giuseppina Massari Panunzio, dove esiste la celebre cantina
nella quale venne fissata la “Disfida di Barletta”, per
ridonarla alla Storia ed istituirvi nella stessa il Museo correlativo
già formato da questo Comune, mi pregio comunicare che le
trattative iniziate con la proprietaria non hanno condotto ad esito
fortunato in quanto la signora ha presentato una rendita di £.12.000
circa, un prezzo questo eccessivo e maggiormente inaccettabile sol
che si pensi che il fabbricato trovasi in condizioni abbastanza trasandate
sia in rapporto alle condizioni statiche che a quelle igieniche”.
La contrattazione si protrasse ancora per diversi anni. Tutto fu
interrotto dall’irruzione tragica del secondo conflitto mondiale
e riprese soltanto quando l’avvocato Fabrizio Rossi di Canosa,
rappresentante della signora Antonietta Massari divenuta nel frattempo
proprietaria della Cantina in quanto erede, con lettera del 9 dicembre
1948, comunicò al Sindaco del Comune di Barletta Isidoro Alvisi
che la vendita dell’intero immobile sito in via Cialdini era
possibile e che “…il prezzo da pagarsi, non passibile
di alcuna transazione, è di lire tre milioni. Qualora il Comune
non intendesse acquisire il detto comprensorio ma unicamente, invece,
la Cantina della Disfida il prezzo da pagarsi è di lire cinquecentomila ”.
Le spinte esterne che propugnavano l’acquisto dello stabile
furono tante e qualificate come quella di Oronzo Pedico che sulle
pagine del Giornale d’Italia in un articolo intitolato “Il
riscatto del palazzo della “Disfida” dovere civico del
Comune di Barletta” ribadiva “…è un dovere
civico sottrarre il palazzo della Disfida ad ogni ulteriore abbandono
tanto più che gli organi della provincia, una volta la stessa
Deputazione, ed oggi anche la E.P.T., sono disposti al miglior aiuto
e comprensione per la tutela e la miglior conservazione del nostro
patrimonio storico”. Dello stesso tono la lettera inviata dal
dott. Vito Lattanzio, Ispettore onorario ai monumenti, al Presidente
della Provincia con la quale comunicava che “… il Palazzo
della Disfida è in condizioni di umiliante e vergognosa indecenza.
Fin quando ci sarà un filo di amor patrio e di dignità di
sentirsi italiani, non potrà spegnersi questo sacro attaccamento
alla conservazione di quanto costituisce il prezioso ricordo dei
nostri grandi avvenimenti storici”.
Tanto tuonò che piovve! Infatti il 5 agosto 1949 con una raccomandata
inviata dal Sindaco Alvisi al Ministero della Pubblica Istruzione
- Amministrazione dei Monumenti, Musei, Gallerie e Scavi di Antichità,
si comunicava che “…ai sensi e per gli effetti della
legge 20.6.1909 n. 364, denunzio a codesta Superiore Autorità che
con contratto n° 41 di Repertorio del 15 luglio 1949, registrato
a Barletta il giorno 26 successivo al n° 157 Mod. 1° Vol.
5° Serie 2a, è stato acquistato da questo Comune per la
somma di £. 400.000 il seminterrato facente parte dello stabile
del Secolo XIV sito in Barletta, denominato “Cantina della
Sfida”, di proprietà della sig/ra Giuseppina Panunzio
vedova Massari e per essa alla legittima erede sig/ra Massari Antonietta
fu Raffaele vedova Fiani. Il predetto stabile è stato dichiarato
di importante interesse storico fin da marzo 1937 e pertanto sottoposto
alle disposizioni contenute nella citata Legge”.
La considerazione finale non può essere che una trasposizione
del detto popolare “non ci sono più le mezze stagioni” in “non
ci sono più gli amministratori di una volta”.
Michele
Grimaldi (febbraio 2006)