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La Disfida di Barletta fonti storiche del Cinquecento, con ristampa anastatica dell’Anonimo Autore di Veduta che vi intervenne di Renato Russo
Quinto Centenario della Disfida di Barletta 1503-2003
La Disfida di Barletta nelle fonti storiche e letterarie
La Disfida di Barletta, Edizione del V centenario
Barletta nel Cinquecento, Al tempo della Disfida e della dominazione spagnola
I 13 Cavalieri Italiani della Disfida di Barletta di Clara Esposito
La Disfida di Barletta - L'epoca e i protagonisti
 

Una Disfida fra storia e romanzo
SENZA MORTIFICARE “L’IMMAGINIFICO” DELLA TRADIZIONE

Il 13 febbraio del 1503, tredici cavalieri italiani sconfissero in un certame altrettanti francesi che ne avevano irriso il valore militare. L’episodio sarebbe restato relegato nei polverosi faldoni di un’anonima giostra, se a rispolverarlo, nel clima risorgimentale della prima metà dell’Ottocento, non fosse intervenuto Massimo d’Azeglio, col suo romanzo Ettore Fieramosca.

La Disfida di Barletta.
In quel tempo c’erano due modi di contribuire alla Unità d’Italia, sui campi di battaglia e con l’“istrumento delle lettere”. Ma anche per quanto riguarda l’uso della scrittura, contribuirono, alla formazione della nazione due modelli letterari, uno attraverso le erudite monografie di patrioti letterati (basti pensare a Luigi Settembrini, Cesare Balbo, Giuseppe Mazzini, Niccolò Tommaseo, Vincenzo Gioberti ed altri) e l’altro mediante pubblicazioni, romanzi o testi teatrali a sfondo storico, inquadrati in contesti patriottici.
Per primo – agli esordi – La Lega lombarda di Cesare Balbo (1816), cui seguiranno, in rapida sequenza, Le lettere siciliane di Santorre di Santarosa (1817), il Tancredi conte di Lecce di Davide Bertolotti (1820), Il conte di Carmagnola e l’Adelchi di Alessandro Manzoni (1821-1822), I Lombardi alla prima Crociata di Tommaso Grossi (1826), La battaglia di Benevento di Francesco Domenico Guerrazzi (1827, lo stesso anno dei Promessi Sposi del Manzoni) il quale introduceva nel suo romanzo una sfida fra sei cavalieri italiani e altrettanti francesi. Quindi Le mie prigioni di Silvio Pellico (1832) sotto l’impulso del cui successo (del romanzo Radetzky dirà che aveva danneggiato l’Austria peggio di una battaglia persa), l’anno dopo il d’Azeglio darà alle stampe il suo Ettore Fieramosca ovvero La disfida di Barletta.
Una folla di personaggi ed una molteplicità di eventi nazionalistici attorno ai quali venivano coagulandosi valori risorgimentali: epiche rappresentazioni storiche che, accanto alle dissertazioni di dotti studiosi, venivano plasmando una mentalità libertaria e irredentistica.
Per la generalità degli italiani per tentare di scaldarne gli animi ad un anelito di libertà, più che l’indottrinamento di una fredda dissertazione, era più facilmente assimilabile un romanzo storico, ben confezionato, magari nella cornice di una intrigante storia d’amore, com’era d’uso a quei tempi, indirizzato alla moltitudine di un popolo nella sua stragrande maggioranza ancora disinformato e quindi assente e passivo.
È in questo contesto che nel 1833 usciva l’Ettore Fieramosca ovvero La disfida di Barletta, del d’Azeglio, sullo sfondo di una barlettanità risorgimentale che – introdotta

* * *
Ma quanto c’era di vero e quanto di fantasioso nel racconto del certame che aveva visto fronteggiarsi - tre secoli prima - 13 cavalieri francesi e altrettanti italiani?
La ricostruzione più attendibile è certo quella di Francesco Guicciardini (1483-1540) nella sua celebrata Storia d’Italia, anche se non sono mancati (coevi allo storico fiorentino o posteriori) altri notevoli cronisti, come il Sabellico (1456-1508), Paolo Giovio (1483-1552), Geronimo Vida (1485-1566), Geronimo Zurita (1512-1580).
Ma è indubbio che la lontananza nel tempo aveva relegato nel dimenticatoio quel remoto fatto d’armi, così come è indiscutibile che la rievocazione del romanzo d’azegliano abbia concorso alla sua rinnovata notorietà, in un clima risorgimentale e post-risorgimentale, protrattosi fino ai nostri giorni, sospeso fra l’enfatizzazione del romanzo e la puntuale ricostruzione degli eventi ad esso legati.
La Disfida di Barletta nel contesto storico nazionale Ora, senza nulla togliere alla straordinaria importanza che riveste il romanzo del d’Azeglio, se non altro perché – come abbiamo visto - ha fatto uscire l’episodio della sfida dal buio di una plurisecolare dimenticanza, è tuttavia giunto il momento di approfondire la Disfida sotto un profilo storico, perché dall’approfondimento storiografico l’avvenimento non solo ne esce vieppiù dilatato, quanto in grado di essere inserito nella storia che conta e di assurgere, ora sì, a episodio emblematico della storia di una regione e, più ancora, di un’intera nazione. Vediamo perché.
Intanto la Disfida rappresenta il primo episodio della prima delle quattro guerre franco-ispaniche che insanguinarono l’Italia fra il 1503 e il 1525. In secondo luogo essa segna il passaggio fra l’ultimo scorcio medievale e la prima epoca rinascimentale, e al tempo stesso si colloca fra la fine della dominazione aragonese e

l’inizio di quella spagnola. E inoltre, durante i mesi della presenza degli Spagnoli a Barletta, quale concorso di personaggi illustri!
Consalvo da Cordova, i cugini Prospero, Fabrizio e Pompeo Colonna, Bartolomeo D’Alviano, Raimondo di Cardona, Pedro Navarro, lo stesso Fieramosca e suo fratello Cesare futuro maresciallo del Regno. Per non parlare degli altri illustri personaggi nel campo francese: il duca di Nemours nipote del re di Francia, i generali D’Aubigny e Lapalisse, lo stesso La Motte che diventerà governatore militare di Roma durante il famoso sacco di Roma del 1527, tristemente premonitore di quello che devasterà Barletta l’anno dopo.
E quanto ai personaggi femminili, ci si ostina a esaltare la figura romanzata di Ginevra, mentre in realtà un’eroina vera la Disfida ce l’ha avuta, eccome: ed è la duchessa di Bari Isabella d’Aragona, vedova del duca di Milano Giangaleazzo Sforza, la quale ebbe un ruolo determinante nel farci vincere il Certame, poiché il giorno prima del celebre scontro, al corrente delle pessime condizioni dei nostri cavalli, ridotti a macilenti ronzini, autorizzò l’invio a Barletta di tredici destrieri sui quali i nostri cavalieri avrebbero combattuto vittoriosi.
Un avvenimento che sul palcoscenico nazionale si colloca in un tempo straordinariamente ricco di eventi e di personaggi, da Lorenzo il Magnifico a Ludovico il Moro, da Ferdinando d’Aragona a Cesare Borgia, un secolo che annovera fra i suoi contemporanei Cristoforo Colombo e Nicola Copernico, Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, Michelangelo e Raffaello, Leonardo da Vinci e Ludovico Ariosto (a proposito, sua moglie, Sandra Benucci, era una barlettana).
E dopo la Sfida, quanti sanno che accadde l’unico episodio a cui parteciparono le milizie barlettane che attaccarono quelle francesi che avevano assediato Andria, uscendone vittoriose? Per non parlare della città, allora caput regionis e una delle più ricche del Regno; e poi delle sue chiese, dei suoi palazzi, delle sue botteghe, delle sue industrie, delle sue campagne e dei suoi casali, del suo porto e dei suoi commerci.
Evitare gli eccessi interpretativi a danno del suo risvolto immaginifico A fronte di questo straordinario scenario, finora ci siamo ritrovati a rievocare la Disfida oppure a rimpiangerne la mancata rievocazione, in un’ottica quasi esclusivamente folcloristica, confinata alla riedizione estiva con risvolti prevalentemente turistici.
Ebbene sia anche questo, ma vivaddio, speriamo sia finalmente venuto il tempo di riscoprire la vera storia della Disfida e dei suoi retroscena nella cornice di un più lungo periodo, qual è quello della occupazione spagnola di Barletta. Pur consapevoli di correre il rischio di restare ostaggi del romanticismo risorgimentale del d’Azeglio, esageratamente carico di enfasi patriottica, e di essere etichettati come ingenui dilettanti, ingessati in una sorta di anacronismo romantico, non possiamo non denunciare il pericolo che si annida dietro uno sforzo interpretativo riduttivo di quegli eventi, diretto al ridimensionamento del suo contesto storico evocativo attraverso una lettura critica estremizzata, col rischio di delegittimare alcuni aspetti della nostra consolidata tradizione, che riguardano il suo risvolto immaginifico o – per dirla con Giovanni Brizzi – il suo “sostrato immateriale”, senza del quale la storia locale è ridotta ad arida sterile ricostruzione.
Massimo rigore storiografico sui dettagli, a scapito del risvolto eroico dell’impresa e dei suoi personaggi più rappresentativi come quando si vuole ridimensionare la figura di Ettore Fieramosca per esaltare quella di Consalvo da Cordova (ammesso che il Fieramosca fosse un comune mercenario, ma così non è, perché “era egli di nobili ascendenti e di animo generoso”, come lo ricorda il Galateo nei suoi “Notamenti”, alla corte di re Ferdinando d’Aragona).
Oppure quando si vuole negare alla Cantina la sua consolidata tradizionale - sia pure leggendaria - identificazione con la Cantina della Sfida… Sarebbe come voler negare la fantasiosa romantica attribuzione - a Verona - del balcone di Giulietta.
Mentre noi riteniamo che il miglior modo di ricordare la Disfida sia quello di evitare due eccessi egualmente dannosi: da un lato una esagerata enfatizzazione dell’avvenimento, ma dall’altra una sua esasperata interpretazione, relegando l’evento ad un trascurabile episodio quale poteva essere uno dei tanti certami del tempo, frutto di una rissa fra cavalieri di ventura che s’erano sbronzati in una sordida Cantina. E invece essa rappresenta l’ultimo episodio di una cavalleria romantica al suo tramonto, prima d’essere sostituita dalla polvere da sparo e dai cannoni, la prima fiammella d’italianità dopo il collasso informativo dei secoli bui del Medioevo.

Renato Russo
(febbraio 2017)

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