Una Disfida fra storia e romanzo
SENZA MORTIFICARE “L’IMMAGINIFICO” DELLA TRADIZIONE
Il 13 febbraio del 1503, tredici cavalieri italiani sconfissero
in un certame altrettanti francesi che ne avevano irriso il
valore militare. L’episodio sarebbe restato relegato nei polverosi
faldoni di un’anonima giostra, se a rispolverarlo, nel clima risorgimentale
della prima metà dell’Ottocento, non fosse intervenuto
Massimo d’Azeglio, col suo romanzo Ettore Fieramosca.
La Disfida
di Barletta.
In quel tempo c’erano due modi di contribuire alla Unità d’Italia,
sui campi di battaglia e con l’“istrumento delle lettere”. Ma
anche per quanto riguarda l’uso della scrittura, contribuirono, alla
formazione della nazione due modelli letterari, uno attraverso le
erudite monografie di patrioti letterati (basti pensare a Luigi Settembrini,
Cesare Balbo, Giuseppe Mazzini, Niccolò Tommaseo,
Vincenzo Gioberti ed altri) e l’altro mediante pubblicazioni, romanzi
o testi teatrali a sfondo storico, inquadrati in contesti patriottici.
Per primo – agli esordi – La Lega lombarda di Cesare Balbo
(1816), cui seguiranno, in rapida sequenza, Le lettere siciliane di
Santorre di Santarosa (1817), il Tancredi conte
di Lecce di Davide Bertolotti (1820), Il conte
di Carmagnola e l’Adelchi di Alessandro
Manzoni (1821-1822), I Lombardi alla prima
Crociata di Tommaso Grossi (1826), La battaglia
di Benevento di Francesco Domenico
Guerrazzi (1827, lo stesso anno dei Promessi
Sposi del Manzoni) il quale introduceva nel
suo romanzo una sfida fra sei cavalieri italiani
e altrettanti francesi. Quindi Le mie prigioni
di Silvio Pellico (1832) sotto l’impulso del cui
successo (del romanzo Radetzky dirà che aveva
danneggiato l’Austria peggio di una battaglia
persa), l’anno dopo il d’Azeglio darà alle
stampe il suo Ettore Fieramosca ovvero La
disfida di Barletta.
Una folla di personaggi ed una molteplicità di eventi nazionalistici
attorno ai quali venivano coagulandosi valori risorgimentali:
epiche rappresentazioni storiche che, accanto alle dissertazioni
di dotti studiosi, venivano plasmando una mentalità libertaria e irredentistica.
Per la generalità degli italiani per tentare di scaldarne
gli animi ad un anelito di libertà, più che l’indottrinamento di una
fredda dissertazione, era più facilmente assimilabile un romanzo
storico, ben confezionato, magari nella cornice di una intrigante
storia d’amore, com’era d’uso a quei tempi, indirizzato alla moltitudine
di un popolo nella sua stragrande maggioranza ancora disinformato
e quindi assente e passivo.
È in questo contesto che nel 1833 usciva l’Ettore Fieramosca
ovvero La disfida di Barletta, del d’Azeglio, sullo sfondo di una
barlettanità risorgimentale che – introdotta
* * *
Ma quanto c’era di vero e quanto di fantasioso nel racconto
del certame che aveva visto fronteggiarsi - tre secoli prima - 13
cavalieri francesi e altrettanti italiani?
La ricostruzione più attendibile è certo quella di Francesco
Guicciardini (1483-1540) nella sua celebrata Storia d’Italia, anche
se non sono mancati (coevi allo storico fiorentino o posteriori)
altri notevoli cronisti, come il Sabellico (1456-1508), Paolo Giovio
(1483-1552), Geronimo Vida (1485-1566), Geronimo Zurita
(1512-1580).
Ma è indubbio che la lontananza nel tempo aveva relegato nel
dimenticatoio quel remoto fatto d’armi, così come è indiscutibile
che la rievocazione del romanzo d’azegliano abbia concorso alla
sua rinnovata notorietà, in un clima risorgimentale e post-risorgimentale,
protrattosi fino ai nostri giorni, sospeso fra l’enfatizzazione
del romanzo e la puntuale ricostruzione degli eventi ad
esso legati.
La Disfida di Barletta nel contesto storico nazionale
Ora, senza nulla togliere alla straordinaria importanza che riveste
il romanzo del d’Azeglio, se non altro perché – come abbiamo
visto - ha fatto uscire l’episodio della sfida dal buio di una
plurisecolare dimenticanza, è tuttavia giunto il momento di approfondire
la Disfida sotto un profilo storico, perché dall’approfondimento
storiografico l’avvenimento non solo ne esce vieppiù dilatato, quanto in grado di essere inserito nella storia che conta
e di assurgere, ora sì, a episodio emblematico della storia di una
regione e, più ancora, di un’intera nazione. Vediamo perché.
Intanto la Disfida rappresenta il primo episodio della prima
delle quattro guerre franco-ispaniche che insanguinarono l’Italia
fra il 1503 e il 1525. In secondo luogo essa segna il passaggio fra
l’ultimo scorcio medievale e la prima epoca rinascimentale, e al
tempo stesso si colloca fra la fine della dominazione aragonese e
l’inizio di quella spagnola. E inoltre, durante i mesi della presenza
degli Spagnoli a Barletta, quale concorso di personaggi illustri!
Consalvo da Cordova, i cugini Prospero, Fabrizio e Pompeo
Colonna, Bartolomeo D’Alviano, Raimondo di Cardona, Pedro
Navarro, lo stesso Fieramosca e suo fratello Cesare futuro maresciallo
del Regno. Per non parlare degli altri illustri personaggi
nel campo francese: il duca di Nemours nipote del re di Francia, i
generali D’Aubigny e Lapalisse, lo stesso La Motte che diventerà governatore militare di Roma durante il famoso sacco di Roma
del 1527, tristemente premonitore di quello che devasterà Barletta
l’anno dopo.
E quanto ai personaggi femminili, ci si ostina a esaltare la figura
romanzata di Ginevra, mentre in realtà un’eroina vera la Disfida
ce l’ha avuta, eccome: ed è la duchessa di Bari Isabella d’Aragona,
vedova del duca di Milano Giangaleazzo Sforza, la quale ebbe
un ruolo determinante nel farci vincere il Certame, poiché il giorno
prima del celebre scontro, al corrente delle pessime condizioni
dei nostri cavalli, ridotti a macilenti ronzini, autorizzò l’invio a
Barletta di tredici destrieri sui quali i nostri cavalieri avrebbero
combattuto vittoriosi.
Un avvenimento che sul palcoscenico nazionale si colloca in
un tempo straordinariamente ricco di eventi e di personaggi, da
Lorenzo il Magnifico a Ludovico il Moro, da Ferdinando d’Aragona
a Cesare Borgia, un secolo che annovera fra i suoi contemporanei
Cristoforo Colombo e Nicola Copernico, Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, Michelangelo e Raffaello,
Leonardo da Vinci e Ludovico Ariosto (a proposito, sua moglie,
Sandra Benucci, era una barlettana).
E dopo la Sfida, quanti sanno che accadde l’unico episodio a
cui parteciparono le milizie barlettane che attaccarono quelle francesi che avevano assediato Andria, uscendone vittoriose? Per non
parlare della città, allora caput regionis e una delle più ricche del
Regno; e poi delle sue chiese, dei suoi palazzi, delle sue botteghe,
delle sue industrie, delle sue campagne e dei suoi casali, del suo
porto e dei suoi commerci.
Evitare gli eccessi interpretativi
a danno del suo risvolto immaginifico
A fronte di questo straordinario scenario, finora ci siamo ritrovati
a rievocare la Disfida oppure a rimpiangerne la mancata
rievocazione, in un’ottica quasi esclusivamente folcloristica, confinata
alla riedizione estiva con risvolti prevalentemente turistici.
Ebbene sia anche questo, ma vivaddio, speriamo sia finalmente
venuto il tempo di riscoprire la vera storia della Disfida e dei suoi
retroscena nella cornice di un più lungo periodo, qual è quello della occupazione spagnola
di Barletta. Pur
consapevoli di correre
il rischio di restare
ostaggi del romanticismo
risorgimentale del
d’Azeglio, esageratamente
carico di enfasi
patriottica, e di essere
etichettati come ingenui
dilettanti, ingessati
in una sorta di anacronismo
romantico, non
possiamo non denunciare
il pericolo che si
annida dietro uno sforzo
interpretativo riduttivo
di quegli eventi,
diretto al ridimensionamento
del suo contesto
storico evocativo attraverso una lettura critica estremizzata,
col rischio di delegittimare alcuni aspetti della nostra consolidata
tradizione, che riguardano il suo risvolto immaginifico o – per dirla
con Giovanni Brizzi – il suo “sostrato immateriale”, senza del
quale la storia locale è ridotta ad arida sterile ricostruzione.
Massimo rigore storiografico sui dettagli, a scapito del risvolto
eroico dell’impresa e dei suoi personaggi più rappresentativi come
quando si vuole ridimensionare la figura di Ettore Fieramosca per
esaltare quella di Consalvo da Cordova (ammesso che il Fieramosca
fosse un comune mercenario, ma così non è, perché “era egli
di nobili ascendenti e di animo generoso”, come lo ricorda il Galateo
nei suoi “Notamenti”, alla corte di re Ferdinando d’Aragona).
Oppure quando si vuole negare alla Cantina la sua consolidata
tradizionale - sia pure leggendaria - identificazione con la Cantina
della Sfida… Sarebbe come voler negare la fantasiosa romantica
attribuzione - a Verona - del balcone di Giulietta.
Mentre noi riteniamo che il miglior modo di ricordare la Disfida
sia quello di evitare due eccessi egualmente dannosi: da un lato
una esagerata enfatizzazione dell’avvenimento, ma dall’altra una
sua esasperata interpretazione, relegando l’evento ad un trascurabile
episodio quale poteva essere uno dei tanti certami del tempo,
frutto di una rissa fra cavalieri di ventura che s’erano sbronzati in
una sordida Cantina. E invece essa rappresenta l’ultimo episodio
di una cavalleria romantica al suo tramonto, prima d’essere sostituita
dalla polvere da sparo e dai cannoni, la prima fiammella d’italianità
dopo il collasso informativo dei secoli bui del Medioevo.
Renato Russo
(febbraio 2017)
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