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PROCESSO A RE MANFREDI
Organizzato dai Club Rotariani di Canosa, Trani e Andria e celebrato nella Sala Rossa del Castello di Barletta

Organizzato dai Club rotariani di Canosa, Trani e Andria, si è celebrato, nella Sala Rossa del Castello di Barletta, un Processo a re Manfredi, accusato di veneficio nei confronti di Corrado, l’imperatore figlio di Federico II e suo fratellastro: infatti Corrado era figlio di Iolanda di Brienne, morta di parto ad Andria a fine aprile 1228, negli stessi giorni nei quali a pochi chilometri di distanza, l’imperatore nel castello di Barletta, organizzava la VI Crociata in Terrasanta. Manfredi era invece figlio di Bianca Lancia d’Agliano, la consorte italiana di Federico, l’unica donna che si dice l’imperatore abbia veramente amato.
E ora due parole introduttive per inquadrare la prospettazione processuale. Dopo la morte del padre, nel dicembre del 1250, da questi designato luogotenente generale del Regno, Manfredi, ad appena diciotto anni, fronteggiò la sedizione dei Comuni pugliesi che, disorientati dalla prematura scomparsa del sovrano, per la più gran parte erano passati dalla parte del Papa. Dopo una dura lotta, Manfredi riuscì a riportare sotto i vessilli della Casa sveva quasi tutti i comuni pugliesi perduti.
Quando Corrado mise piede in Puglia, all’inizio del 1251, togliendo la luogotenenza generale del Regno a Manfredi, i rapporti fra i due fratellastri s’inasprirono, perché il nuovo imperatore, geloso dei successi del fratello, cominciò a fargli terra bruciata attorno, allontanando dalla corte molti membri della sua famiglia, il potente clan dei Lancia.
Quando poi Corrado fece uccidere l’altro fratello Carlotto (figlio di Isabella d’Inghilterra), Manfredi, temendo per la sua vita, “pare” che abbia a sua volta fatto avvelenare Corrado. “Pare”, perché, sulla vicenda la storiografia ufficiale è ancora divisa fra innocentisti e colpevolisti. Di qui il processo “a porte aperte”, che si è celebrato nella Sala Rossa del castello, luogo quanto mai indovinato, visto che Manfredi ci passò così lungo tempo, dal 2 dicembre 1259 all’autunno del 1261 (i luoghi della sua permanenza erano il palatium federiciano, oggi adibito a Biblioteca Comunale).
Dopo una circostanziata relazione storica introduttiva, nella quale il dott. Renato Russo ha delineato il personaggio, inquadrandolo nel contesto storico del suo tempo, hanno svolto le loro arringhe, per l’accusa il dott. Nicola Barbera Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani, per la difesa l’avv. Arcangelo Cafiero, del Foro di Trani e - come organo giudicante - il dott. Antonio Lovecchio coordinatore dell’Ufficio G.I.P. presso il Tribunale di Trani.
L’episodio della morte di Corrado, apparentemente lineare, a scandagliarlo più in profondità, presenta invece tutti i contorni tipici del più classico dei gialli. Il giovane imperatore, dai primi di maggio a Lavello, dove aveva raccolto un poderoso esercito per fronteggiare le truppe pontificie, dopo una breve malattia, muore di dissenteria, secondo il referto medico stilato da Giovanni da Procida, cioè della stessa malattia della quale era morto suo padre Federico quattro anni prima (1250) e suo nonno Enrico cinquantasette anni prima (1197).
Nel dicembre del 1253, qualche mese prima, Corrado aveva ordinato l’assassinio del fratellastro Carlotto figlio di Isabella d’Inghilterra. Temeva infatti che gli ottimi rapporti fra la casa inglese e il Papa, inducessero quest’ultimo a firmare un accordo, previo il matrimonio di una nipote del Papa col giovane figlio d’Isabella. Frattanto implacabile era continuata l’opera di progressiva emarginazione di Manfredi e del suo entourage per cui, è vero che Corrado s’era ammalato di dissenteria e che il male aveva raggiunto un grado di gravità difficilmente superabile, ma può anche essere che Manfredi, di fronte all’acuirsi del male, abbia deciso di affrettare la fine del perfido fratellastro, mettendosi al sicuro da ogni possibile - per quanto forse improbabile - ripresa.
A distanza di 850 anni, chi può dire come siano andate veramente le cose? Tutto dipende allora dalla prospettazione dell’accusa e della difesa, la prima sostenuta a spada tratta dai fautori della Casa sveva, e quindi dai ghibellini filoimperiali, e la seconda dai denigratori degli Hoestaufen, e quindi dai guelfi filopontifici. Fatti, circostanze, diagnosi mediche, voci tendenziose propalate ora dall’una ora dall’altra parte.
Argomentazioni accusatorie oggi sostenute con lucida analisi dei fatti concomitanti all’episodio della morte, dal Procuratore della Repubblica dott. Barbera, ragioni della difesa sostenute con impeto dall’appassionata arringa difensiva dell’avv. Arcangelo Cafiero.
A sintetizzare le ragioni dell’accusa e della difesa, la lucida, stringata, argomentata motivazione dell’organo giudicante, dott. Antonio Lovecchio, che pur accogliendo in parte le motivazioni accusatorie, ha ritenuto però che alla fine dovessero prevalere le ragioni difensive, concludendo per l’innocenza del regio imputato.


Manfredi a Barletta
Manfredi ebbe un intenso e piacevole rapporto con la città di Barletta. Racconta Matteo Spinelli: Lo Re la notte esceva pe’ Barletta, cantando strambotti e canzuni e iva pigliando lo frisco e con isso ivano dui musici siciliani, che erano gran romanzaturi. E Giuseppe Aurelio Lancia: Per lungo tempo tenne Manfredi corte bandita in Barletta, dove sì magnanimo e generoso principe mostrossi, dispensando feudi, armando cavalieri, perdonando ai colpevoli, premiando i buoni, facendo rispettare le leggi e promuovendo le lettere, che in breve tempo, e senza sforzo conciliossi gli animi dei più schivi e permalosi Baroni pria avversi alla Casa di Svevia. Giustamente per le virtù sue pregiato, e sinceramente per la grazia della sua persona, per la leggiadria dei modi, per la gentilezza dell’anima era dai popoli amato Manfredi.
Il primo incontro con la città Manfredi l’ebbe il 18 ottobre del 1250, due mesi prima della morte del padre. Inviato dall’augusto genitore a Barletta per dirimere una controversia fra Saraceni abusivi occupatori di suolo pubblico e commercianti del posto, dopo aver convocato le parti, impose al Comune e ai commercianti di pagare 1000 augustali a testa per indennizzare i Saraceni e indurli a spostarsi a Lavello. Dei 2000 ducati, tuttavia, ne trattenne la metà a titolo d’imposta per il Regio erario.
Altri e più significativi episodi che ne legano il ricordo alla nostra città si ricordano in seguito alla sua incoronazione, nell’agosto del 1258, a re di Sicilia. Fra i primi atti del suo governo ci fu quello di riconfermare alla chiesa di S. Maria di Barletta la Fiera dell’Assunta, ripristinando una liberalità del padre, interrotta per lunghi anni. A partire dall’anno dopo, dal 2 dicembre 1259 all’autunno del 1261, tenne corte a Barletta, nel castello (l’ala est, cioè il palatium federiciano, oggi occupato dalla Biblioteca comunale) dove trasferì gli uffici amministrativi della Curia e soprattutto la sua splendida corte. E fu qui, nella reggia castellare, nel grande salone di rappresentanza, ch’egli ricevette numerose ambascerie, fra le quali la delegazione mandata da Elisabetta di Baviera (vedova di Corrado) per rivendicare il trono per il figlio Corradino; fu qui che ospitò Baldovino, l’imperatore di Costantinopoli appena deposto e che accolse le delegazioni di altri stati europei, ma anche orientali, come quella araba, inviatagli dal gran sultano Bairbas nell’agosto 1261. Racconta il cronista: liete le feste furon di danze splendide, nelle quali di dame bellissime era tal copia che dir non sapeva Manfredi quali di tante fosser le più piacenti.
Racconta Sabino Loffredo: Per lungo tempo tenne Manfredi corte nel castello di Barletta dove sì magnanimo e generoso principe mostrossi, dispensando feudi, armando cavalieri, perdonando ai colpevoli, premiando i buoni, facendo rispettar le leggi, e promuovendo le letture, che in breve tempo e senza sforzo, conciliossi gli animi dei più schivi e permalosi baroni pria avversi alla Casa di Svevia.
Anche Manfredi, come il padre, teneva dunque una splendida corte a Barletta dove alternava gli impegni di governo con incontri dedicati all’arte, alle scienze, alla filosofia, alla letteratura, alla poesia ma anche alla introduzione della nuova lingua italiana, il volgare. È lo stesso Dante a dargliene atto nel De vulgari eloquentia ed è ancora di Dante il bellissimo verso con cui lo ha immortalato nel III Canto del Purgatorio: biondo era e bello e di gentile aspetto…
Ma accanto al Manfredi uomo d’arte e di cultura, c’era anche il sovrano che perseguiva lo stesso disegno del padre, la riunificazione territoriale dell’Italia, così, sul finire dell’estate del 1260, ancora una volta dal nostro Castello, dispose l’invio di 800 cavalieri in Toscana che saranno determinanti, a Montaperti, per una clamorosa vittoria dei ghibellini toscani contro i guelfi fiorentini. Fu però una vittoria effimera, perché il papato era troppo forte e s’adoperò per la rovina del giovane sovrano, come aveva già fatto col padre, col grande imperatore.
Manfredi, perseguitato dal Papa e abbandonato dai baroni, andò incontro al suo funesto destino, sulla piana di Benevento, il 26 febbraio del 1266. Morì eroicamente sul campo di battaglia. Aveva appena 36 anni.

Paola Russo (Febbraio 2004)

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