| MARIANO ABIGNENTE E I SUOI MONUMENTI
 Mariano Abignente (per alcuni autori Abignenti) da Sarno, è probabilmente
          quello dei 13 cavalieri della Disfida, a cui sono stati dedicati più monumenti
          che lo ricordano.
 Nel 1882 il Consiglio Comunale di Sarno gli dedicò una via che
          attraversa il quartiere dov’era il palazzo della famiglia Abignente
          e un monumento eretto dinanzi al Municipio. Il prode eroe è raffigurato
          a figura intera in un bronzo alto 2,34 metri posto su di un cubo in
          pietra vulcanica, con una breve iscrizione, realizzato nel 1885 da
          un artista campano: Giovanni Battista Amendola. È un’opera
          interessante che riprende il cavaliere con in mano un’enorme
          spada e vestito di una pesante armatura che, quando fu inaugurata nel
          1893, venne illustrata come segue: “L’Abignente è tutto
          chiuso nel suo arnese di guerra. Un elmetto crestato adorno di pennoncello
          con buffa, ventaglia e gorgeretta, inquadra la maschia fisionomia dello
          eroe da’ lineamenti risoluti e possenti dell’uomo d’arme
          del XVI secolo”.
 Mariano Abignente nacque nella cittadina campana nel 1471 da Giacomo
          e da una gentildonna di casa Longo dei Signori di Vinchiaturo, in provincia
          di Campobasso. Discendente da una nobile famiglia che vantava un giudice
          della Gran Corte della Vicaria, Matteo Abignente che, nel 1295 sotto
          il Regno di Carlo II d’Angiò, possedeva alcuni beni feudali.
          Altre pergamene, conservate nella Cappella gentilizia della nobile
          famiglia, testimoniano i rapporti con Giovanna II (1426) e con Ferrante
          d’Aragona (1473).
 Il nobile Mariano è uno dei quattro campani protagonisti della
          celebre sfida, insieme a Ettore Fieramosca e Ludovico Abenevole da
          Capua e Marco Corollario da Napoli. Le cronache dell’avvenimento
          dicono che durante la tenzone venne ferito ad una coscia. In seguito,
          e ciò confermerebbe lo stretto legame della sua casata con i
          Reali di Napoli, Ferdinando il Cattolico gli fece dono di una collana
          con 13 anelli, a ricordo della vittoriosa impresa, regalo che poi è stato
          ripreso nello stemma nobiliare dai suoi discendenti.
 Dai documenti rintracciati non è dato sapere se si sposò ed
          ebbe dei figli, cosa che, comunque, non risulta da carteggi successivi.
          Apprezzato dal vicerè di Napoli, Raimondo de Cardona, conte
          di Potenza, Mariano partecipò a numerose battaglie e scaramucce
          avvenute subito “dopo la Disfida di Barletta, militando ora col
          duca di Termoli, ora con Prospero Colonna, ed ora col conte di Potenza.
          Fu con Giovanni Brancaleone alla battaglia di Ravenna nella compagnia
          del signor Prospero”. Questo secondo quanto asserisce un suo
          discendente, Filippo Abignente, nel volume: “La Disfida di Barletta
          e i tredici campioni italiani” edito a Trani dalla tipografia
          Vecchi nel 1903. A Filippo si deve la ricostruzione della biografia
          dei prodi che parteciparono all’epico scontro e naturalmente
          gran parte delle notizie inedite sul suo antenato.
 Tra queste la data della morte che si fa risalire al 1521, all’età di
          50 anni, e “dopo anni diciannove” dallo scontro con i 13
          francesi. A ricordo di questo cavaliere vi è anche un elegante
          monumento sepolcrale presso la chiesa dei frati di S. Francesco, nella
          cappella della Concezione della famiglia Abignente. Al centro emerge
          il busto del nobile uomo d’arme a testa nuda e con la mano destra
          sollevata mentre una lunga iscrizione, datata 1675 epoca a cui risale
          tutta l’opera, è posta subito sotto. In seguito, e precisamente
          nel 1901, gli eredi decisero di esporre al pubblico la spada e il pugnale
          usati da Mariano nella celebre sfida, ponendoli in un’apposita
          urna in ferro e cristallo, incastrata nelle mura della cappella gentilizia,
          insieme ad alcune pergamene e documenti di famiglia.
 Monumenti, iscrizioni e lapidi inneggianti all’eccezionale impresa
          italiana, ancora oggi, dopo 500 anni, confermano quanto il Gran Capitano
          Consalvo da Cordova aveva detto nell’esortazione alla vigilia
          della Disfida “…portatevi in modo che il mondo abbia a
          favellare eternamente di voi”.
 Marina Ruggiero (aprile 2004) << vai all'indice
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