La satira di Chieffi 
                ovvero l’altra faccia della  storia
            È vero, di Giovan Battista Chieffi  sappiamo ben poco. Dove ha studiato, se ha frequentato scuole d’arte, quando ha  cominciato a disegnare, quali ambienti di cultura ha frequentato, perché la  scelta della satira. Una mostra in genere è anche il risultato di approfondimenti,  di studi più allargati sull’opera e sulla personalità dell’artista. Chieffi non  ci rivela più di quanto già non si conoscesse nel lavoro pubblicato nel 2006 da  Mariangela Canale ed Emanuele Romallo: assicuratore di professione, sposato, quattro  figli, metà della vita a Barletta, l’altra metà a Foggia. Una delle tante brave  persone di cui sono fatte le nostre città. I disegni vengono fuori quando la  vedova, nel 1936, decide di donarli al Museo Cittadino. E mentre gli storici  studiano i grandi processi della politica, dell’economia, della società nelle  fasi del post-risorgimento, della questione meridionale, del giolittismo, della  prima grande guerra e dell’avvento del fascismo, dalla matita e dal pennino di  un uomo dabbene ecco spuntare un’altra Barletta con il segno della caricatura  tracciato sui fogli di carta della ditta. 
              Sono personaggi di tutti i giorni,  preti, negozianti, piccoli industriali, avvocati, medici, trafficoni, nobili in  cerca di nuove fortune, sindaci, assessori, sfaccendati, intellettuali. La  maggior parte dei disegni hanno il sapore degli appunti, altri rifiniti e  colorati riportano il nome del signor tal dei tali. L’assicuratore satirico li  riprende quasi sempre di profilo, grossi e magri, alti e bassi. Già questa è  una scelta dissacrante, la denuncia del ridicolo, la provocazione alla risata.  Il profilo si identifica nella personalità del soggetto, qualunque professione  eserciti, dalla più prestigiosa alla più mediocre. Chieffi, sornione e fine  osservatore, misura la personalità dei suoi amici, compari e clienti, dalle  circonferenze delle pance, dalla possanza o protuberanza dei nasi, dalla  voluminosità delle teste, dalla grossolanità delle mani, dalla deformità delle  scarpe. In alternanza: uomini lunghi più che alti, infilati in una magrezza  indossata in lunghe giacche e cappotti, sfilano alla maniera del dandy di  boldiniana memoria, piccoli marchesi de Montesquieu di provincia, nell’Italia  che cambia fra i corpulenti della politica e gli smilzi degli affari, fra la  lentezza della tradizione e la velocità del cambiamento. Chieffi ci consegna le  icone sociali della città meridionale, il piccolo mondo moderno tracciato con  mano abilissima nella letteratura della satira sociale e di costume. E non è  poco per un illustratore che oggi, attraverso la mostra delle sue opere,  restituisce ai barlettani il piacere di riconoscersi attraverso il  sorriso.
            Emanuela Angiuli (gennaio 2009)
            
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