| UNA VITA CHE PROVOCA E INTERPELLA TUTTITumulate nel locale cimitero le reliquie di padre
            Raffaele Di Bari a cinque anni dalla tragica scomparsa.
 
 È 
            passato un lustro da quando padre Raffaele Di Bari, missionario comboniano
            barlettano, è stato ucciso da un gruppo di ribelli, mentre,
            in una località dell’Uganda, si recava a celebrare la
            messa. Ora le sue reliquie riposano presso il Cimitero comunale.
            La famiglia le ha donate al clero barlettano e lo scorso giugno,
            con una solenne cerimonia presieduta dall’Arcivescovo Mons.
            Giovan Battista Pichierri, sono state tumulate nella Cappella cimiteriale
            del Clero, perché i fedeli possano visitarle e venerarle.
            Le reliquie del cranio del missionario martirizzato e il calice e
            la patena che il religioso avrebbe utilizzato per la messa il 1° ottobre
            2000 sono stati consegnati alla famiglia del sacerdote da padre Tarcisio
            Pazzaglia, comboniano, amico e continuatore dell’opera di padre
            Raffaele.
 “
            Abbiamo qui in mezzo a noi le reliquie di un martire - ha dichiarato
            mons. Michele Morelli nella riflessione tenuta in occasione della
            cerimonia - un martire della nostra terra, della nostra generazione,
            che quasi tutti abbiamo conosciuto. Chi ha avuto modo di avvicinarlo,
            quando passava alcuni giorni di riposo qui a Barletta, ha potuto
            cogliere i tratti della sua semplicità, del suo fervore missionario,
            della sua disponibilità, del suo amore per la terra d’Africa… Padre
            Di Bari parla, oggi, a noi, a noi sacerdoti, qualunque sia il livello
            di ministero che ci è proprio, parla a voi laici, parla a
            tutti noi: non con le parole, che non abbiamo avuto modo di ascoltare
            a motivo della sua lontananza, ma con la sua vita… La sua vita
            ci provoca e ci interpella”.
 Padre Raffaele, classe 1929, manifestò presto la vocazione
            missionaria e intese seguire i religiosi comboniani che provenivano
            da Troia. Ed è proprio nell’Istituto Missioni Africane
            della città dauna che svolse i suoi primi studi. Di carattere
            esuberante, padre Raffaele completò il noviziato a Firenze,
            prese i voti il 9 settembre del 1948 e il 26 maggio 1956 fu ordinato
            sacerdote a Milano dal cardinale Montini, futuro Papa Paolo VI. Ordinato
            sacerdote restò in Italia tre anni prima a Crema e poi a Troia
            e poi finalmente, nel 1959, l’Uganda: la sua seconda patria.
 Inviato al confine con il Sudan, tra le popolazioni dei distretti
            di Gulu e Kigtum, padre Raffaele sposò la causa della tribù degli
            Acholi quella più povera e oppressa dell’Uganda. “Raffà” come
            lo chiamava la sua gente, aveva costruito con loro mulini, aveva
            insegnato a coltivare piante che prima non erano coltivate come il
            granoturco, il riso, il girasole, tanto che la gente della tribù diceva: “dove
            arriva padre Raffaele arriva il pane”.
 Ma il missionario comboniano negli ultimi anni aveva vissuto la barbarie
            dei bambini rapiti e trasformati in “macchine da guerra”.
            Complice il regime dittatoriale che governa il Sudan, negli ultimi
            anni più di 11.000 minori, sottratti alle famiglie o alle
            missioni da guerriglieri mercenari senza scrupoli, hanno passato
            il confine per diventare dei soldati da far combattere contro il
            governo del presidente ugandese Museveni. Molti muoiono durante il
            tragitto, gli altri vengono addestrati alla violenza e buttati in
            prima linea in questa guerra civile, quelli che sopravvivono sono
            distrutti nel fisico e nello spirito. Tutto questo nella più totale
            indifferenza delle Nazioni Unite e dei singoli Stati che non hanno
            interesse a rompere i rapporti con il governo sudanese che esporta
            petrolio e diamanti nei Paesi ricchi.
 Il missionario barlettano dava fastidio perché salvava e nascondeva
            i ragazzi nella sua missione e denunciava a gran voce questi massacri.
            Due cose aveva chiesto padre Raffaele al Signore poco prima di essere
            assassinato: la salvezza della propria anima e la pace in Uganda.
            Ma dove non c’è giustizia non ci può essere pace.
            Così il religioso continuava a denunciare con forza i soprusi,
            la corruzione ma soprattutto il rapimento dei “suoi” bambini
            destinati a diventare soldati, “merce” per pedofili o
            per il traffico di organi. “Un vero missionario condivide sempre
            la sorte della sua gente fino alla fine perché se non parliamo
            per denunciare le ingiustizie, tradiamo la nostra vocazione. Prestare
            la nostra voce a questa povera gente è più importante
            che costruire scuole, ospedali, chiese”, così si era
            espresso in un’intervista al Corriere della Sera.
 Padre Raffaele dopo minacce e attentati falliti fu ucciso dai ribelli
            dell’Esercito di Resistenza del Signore che di religioso non
            ha assolutamente nulla e lavorano per conto del governo del Sudan.
            Quell’infausto ottobre del 2000, insieme ad una suora ed un
            catechista, cadde in una imboscata, la sua auto, crivellata di colpi,
            prese fuoco per l’esplosione del serbatoio: la suora e il catechista
            si salvarono miracolosamente, ma Padre Raffaele morì sul colpo.
 Marina Ruggiero (settembre 2005) << vai
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