NEL NOME DI "MONS. DIMICCOLI" DALLA PRIMA PIETRA AL SUO COMPLETAMENTO
          E dove ci può essere maggiormente bisogno
            d’amore se non dove c’è sofferenza? Il malato
            di oggi, oltre che di mezzi tecnici avanzatissimi, ha bisogno di
            ospitalità in una struttura dove convivano efficienza e umanità. 
          L’inizio dell’epilogo di questa lunga vicenda, battezzata
              negli anni Sessanta, affonda le sue radici nel corso del 1996, quando
              cioè trovò il suo completamento nella progettazione
              definitiva del costruendo nosocomio.
              Il C.I.P.E., Comitato Internazionale per la Programmazione Economica,
              nella seduta del 9 ottobre 1996 deliberò lo stanziamento della
              somma di 38 miliardi, quale finanziamento statale, a cui aggiungere
              altri due miliardi versati dalla Regione. Questa delibera s’inserì in
              un programma di approvazioni, da parte del C.I.P.E., che comprendeva
              in totale 21 progetti di edilizia sanitaria relativi al completamento,
              ai lavori di adeguamento o di costruzione di strutture sanitarie
              pubbliche per un importo di spesa di poco più di 207 miliardi.
              Stabilito e approvato un punto centrale della questione, si procedeva
              dunque alla fase finale, quella cioè che indirizzava il progetto
              verso la tanto attesa cantierizzazione della costruzione. Tra i partecipanti
              alla gara d’appalto, la ditta Salvatore Matarrese ebbe ha la
              meglio sugli altri undici concorrenti. A questa aggiudicazione, fece
              seguito un ricorso al T.A.R., promosso dalla ditta seconda classificata,
              la quale ne richiese l’annullamento.
              L’ultima parola spettò alla A.S.L., che chiamata all’onere
              di definire l’oggetto della controversia, definitivamente ratificò il
              risultato dell’aggiudicazione della gara all’impresa
              Matarrese.
              A quasi trent’anni di distanza da quando venne posta la prima
              pietra, si annunciava la riapertura del cantiere, animati tutti dall’auspicio
              di vedere finalmente il nuovo Ospedale completo ed agibile.
              La ditta Salvatore Matarrese ebbe l’onere e la soddisfazione
              di ridare anima al vecchio progetto addormentato, portandolo in tempi
              brevi al suo aspetto conclusivo, dandogli la forma imponente che
              tutti abbiamo potuto ammirare in occasione della inaugurazione e
              regalandoci la speranza di poter fare finalmente affidamento su una
              struttura dove efficienza ed umanità vivono nello stesso
              corpo.
              Oggi che l’opera è completa, sicuramente è d’obbligo
              ed allo stesso tempo rincuorante pensare che, lo si deve all’encomiabile
              volontà di quanti con tenacia ed impegno serio, hanno perseverato,
              offrendo una fattiva collaborazione, per la sua realizzazione.
              Basta guardarsi un po’ intorno per accorgersi che non sono
              le grandi intenzioni, magari ben sponsorizzate, a lasciare al mondo
              qualcosa di buono.
              Ma ripercorrendo l’intero percorso di tutta la vicenda, quindi,
              per quanto possa venire spontaneo guardare soprattutto, e con sospetto,
              alle diverse ed indecifrabili interruzioni durate anni, sarebbe imperdonabile
              non ringraziare tutti coloro che, generosamente, hanno messo a disposizione
              dell’Opera i loro talenti, dimostrando a tutti che “la
              più piccola azione è meglio della più grande
              intenzione”.
              Ogni grande opera della storia porta con sé una miscela di
              contraddizioni che, scontrandosi l’una con l’altra, provocano
              dirottamenti non solo inutili quanto piuttosto distruttivi nei confronti
              dell’obiettivo prefisso. Questo contrasto tra volere e potere,
              ma anche tra volere e non volere, o potere e non volere, trova le
              sue diramazioni nella natura stessa dell’uomo, perennemente
              in bilico tra forze divergenti e dettate da surrogati di “etiche” del
              tutto personali.
              
              L’intitolazione a mons. R. Dimiccoli
              Un punto di incontro e al tempo stesso di superamento tra queste
              contraddizioni, è stato
  trovato nella intitolazione della nuova struttura a mons. Raffaele Dimiccoli.
  Oltre che un doveroso omaggio ad una straordinaria figura di sacerdote e di educatore
  di cui è avviato il processo di beatificazione, la dedicazione del complesso
  a don Raffaele, è quanto mai emblematicamente riconducibile alla titolazione
  di un ricovero ospedaliero, dove la speranza si confonde con la sofferenza.
  Nato a Barletta il 12 ottobre 1887, il giovane Raffaele dà inizio alla
  sua missione sacerdotale nel 1911 nell’estesa chiesa parrocchiale di S.
  Giacomo Maggiore col compito principale di seguire i fanciulli e i giovani dell’Oratorio
  S. Filippo Neri. Il suo profondo desiderio di servire Dio nei più bisognosi,
  rappresenta una costante, durante il suo intero apostolato, al punto di mettere
  a repentaglio la propria vita anche dinanzi al pericolo di contagio, come quando,
  nel 1918 soccorre i colpiti dall’epidemia di “spagnola” che
  andava decimando intere famiglie della città. Spinto da un forte incitamento
  interiore che gli va suggerendo “Tu devi fondare una chiesa”, si
  sente proteso verso la periferia della città, tra i poveri più poveri,
  dove dà inizio nel 1924 alla fondazione del “Nuovo Oratorio S. Filippo
  Neri”. In un volantino diffuso tra i cittadini di Barletta in occasione
  dell’inaugurazione di tale opera, così scrive il Servo di Dio:
“È un vero strazio lo spettacolo di centinaia di bambini sporchi
e cenciosi abbruttirsi sulla strada senza le amorevolezze di chi li guidi nel
primo ingresso alla vita
  (...). Quanto denaro si spende per moltiplicare istituti di correzione, prigioni
  di minorenni, ecc...
  Ma il cuore di mons. Dimiccoli non pulsa solo per quell’ambiente periferico
  della città. Volgendo lo sguardo ai bambini di un altro quartiere povero,
  apre una scuola materna che chiama “Casa degli Angeli”.
  Nel dopoguerra, e precisamente nel 1948, l’Arcivescovo mons. Addazi, lo
  volle suo collaboratore, nominandolo Vicario Generale per l’Arcidiocesi
  di Barletta-Nazareth. Adesso, che gli è stata affidata la responsabilità dell’intera
  città, dà inizio a due altre opere importanti: il “Villaggio
  del Fanciullo” e la costruzione di una parrocchia periferica che vuole
  intestare al “Cuore Immacolato di Maria”.
  Muore dopo lunga sofferenza il 5 aprile 1956. Per il popolo di Barletta, don
  Raffaele era già santo in vita, perfino Padre Pio da Pietrelcina lo considerava
  tale. Numerosi barlettani, infatti, attestano che, recandosi a San Giovanni Rotondo
  dall’umile Frate Cappuccino, questi, riferendosi al servo di Dio, abbia
  detto loro: “perché venite da me, se a Barletta avete un santo?”.
  Che il nuovo ospedale di Barletta sia intitolato al nome di mons. Raffaele
  Dimiccoli, ci sembra una grande benedizione, e non può essere stato che di buon auspicio
  nel sollecito completamento dell’opera appena inaugurata.
  
          Maria Antonietta Binetti (luglio
                2004)
          
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