| Attualità di Niccolò Fraggianni
          grande innovatore del diritto nel '700 Il 27 dicembre 1746 la Consulta
            della Real Camera di Santa Chiara
            pose fine all’attività del Tribunale dell’Inquisizione
            nel regno di Napoli. Due giorni
            dopo il re Carlo III comunicò la storica
            sentenza (“Interdictum perpetuo Tribunal
            Inquisitionis”) a tutte le Diocesi del Regno
            e, qualche giorno dopo ancora ai Deputati
            del Santo Officio Romano.Quella “Prammatica” poneva fine a un
            lungo periodo di controversie tra l’autorità
            statale e quella ecclesiastica, riscattando
            il Regno di Napoli dalla soggezione verso
            la curia romana tutta tesa a mantenere
            salda una giurisdizione che si sostanziava
            nel mantenimento di una serie di privilegi
            di stampo feudale condizionando pesantemente
            il processo di rinnovamento avviato
            dal Borbone in un Mezzogiorno che viveva
            le prime luci delle riforme illuministiche.
 Ebbene, autore di quella sentenza fu il
            marchese Niccolò Fraggianni, caporuota
            della Real Camera di Santa Chiara, al quale
            il re Carlo III nel 1742 aveva affidato
            l’incarico di Delegato della Real Giurisdizione.
 In questa veste gli aveva affidato
            l’esame dei processi intentati dalla curia
            arcivescovile di Napoli a carico di alcuni
            religiosi imputati di eresia.
 L’opera e la figura del Fraggianni, nato
            a Barletta nel 1686, è oggetto di un recente
            libro di Renato Russo “Niccolò Fraggianni
            un precursore dell’Illuminismo napoletano”
            edito da Rotas (pagine 127, 10 euro).
 Fraggianni, come scrive in prefazione
            Corrado Allegretta presidente del Tar
            Puglia, fu un uomo di eccellente preparazione
            giuridica, “tipico giurista europeo
            dell’Ancien Regime” non insensibile però
            “alla modernità. Anzi per tutta la sua vita
            intellettuale e istituzionale cercò di conciliare
            tradizione e ragione, sforzandosi di
            dimostrare la compatibilità del sistema monarchico
            assolutista con lo Stato di diritto”.
 Renato Russo “racconta” (ormai è una
            sua consolidata connotazione) il personaggio,
            al di là della biografia, con una
            serie di testimonianze e, soprattutto, contestualizzando
            il Fraggianni nel periodo
            storico di cui è protagonista e nel rapporto
            con gli altri personaggi dell’Illuminismo
            napoletano, Antonio Genovesi, Gaetano
            Filangieri, Federico Galiani, il filosofo
            Guglielmo Leibniz con il quale ebbe una
            intensa frequentazione a Vienna, Giambattista
            Vico del quale era stato allievo, Pietro
            Giannone del quale autorizzò la ristampa
            dell’Istoria del Regno di Napoli messo
            all’indice dalla Chiesa e per il quale era
            stato imprigionato a vita (morì nel 1748
            nel carcere di Torino).
 Il Tribunale dell’Inquisizione funzionava
            a Napoli segretamente, tant’è che nel
            1741 fu imprigionato il sacerdote Antonio
            Nava insieme con due diaconi. Nava fu
            torturato per cinque anni e condannato alla
            immurazione perpetua. Quando il fatto si
            seppe, ci fu una sollevazione popolare.
 La folla assediò l’abitazione del cardinale
            Spinelli che continuava a negare l’esistenza
            dell’inquisitore. I deputati ricorsero
            al Re il quale ordinò la trasmissione del
            processo alla Camera di Santa Chiara che
            incaricò della revisione il delegato della
            Real Giurisdizione Niccolò Fraggianni,
            Il giurista barlettano documentò con
            prove inconfutabili l’attività segreta e straordinaria
            dell’inquisitore, ne articolò l’illegale
            attività e le disumane procedure per
            costringere alla confessione gli imputati e
            suggerì a Carlo III “risoluzioni forti, efficaci,
            permanenti e tali appunto che possano
            una volta dopo tante tempeste, estirpare
            per sempre dalle sue radici estreme
            qualunque nascosto seme di pianta tanto
            nociva”.
 L’Inquisizione era già praticata nel XII
            secolo, introdotta dal papa Lucio III.
 Se ne conoscono tre forme: medievale,
            spagnola e romana. Denominatore comune
            la difesa dell’ortodossia della Chiesa
            e la pratica della tortura per ottenere la
            confessione del reo, con una varietà di
            strumenti messi a punto con una fantasia
            disumana. Non meno disumane le pene
            che nondimeno avevano la presunzione
            di esprimere la “dolcezza”, la “mansuetudine”,
            la “benemerenza” dei “santi inquisitori”
            come ci ricorda Sergio Masella in
            una documentata monografia pubblicata
            
            da Athena Mediterranea nel 1971: il rogo,
            l’impiccagione per gli eretici poveri e plebei
            (la decapitazione per gli eretici nobili),
            l’immurazione perpetua, il carcere a vita,
            la fustigazione, l’esilio.
 A tutto questo pose fine la Prammatica
            del Fraggianni che ribadì la sua condanna
            dell’Inquisizione in altro provvedimento
            del 1761.
 Morì di idropisia il 9 aprile del 1763. È
            sepolto nella chiesa dei Gerolomini dove
            riposa anche il fratello Agnello, vescovo di
            Venafro e Giambattista Vico con il quale il
            Fraggianni si laureò in Legge nel 1712.
 Dopo il 1861 il Tribunale dell’Inquisizione
            fu ridotto a apparato puramente censorio.
 Nel 1908 Pio X ne cambiò il nome:
            Sacra Congregazione del Sant’Uffizio. Divenne
            Congregazione per la dottrina della
            fede con Paolo VI nel 1966. Nel 1981
            ne divenne presidente il cardinale Joseph
            Ratzinger, l’attuale pontefice Benedetto
            XVI.
 Michele Cristallo (marzo 2012) << vai all'indice
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