MONS. NICOLA MONTERISI
                  A 60 ANNI DALLA MORTE: UN PROFETA ANCORA VIVO IN MEZZO AL SUO
                POPOLO 
            Sessant’anni fa, il 30 marzo 1944, mons.
              Nicola Monterisi chiudeva la sua esistenza terrena nell’Ospizio “Casa
              S. Giuseppe” di Salerno, dove volle ritirarsi nell’approssimarsi
              dell’ultima ora. A quanti palesarono apertamente il loro
              dissenso circa questa sua scelta, Monsignore lasciò detto
              al suo inseparabile segretario, mons. Antonio Balducci: “Dirai
              a chi volesse dissentire che per un Vescovo è grande onore
              morire in mezzo ai poveri!”.
              Il vecchio Presule veniva fuori, duramente provato, dagli orrori
              della seconda guerra mondiale che aveva condiviso con il martoriato
              popolo di Salerno, per
  il quale era divenuto l’angelo consolatore. E difensore dei diritti dei
  poveri fu anche quando si oppose fermamente alla requisizione del Seminario
  Regionale, per le necessità contingenti della Nazione, nei confronti
  del Comando Alleato, ma soprattutto del Capo del Governo Italiano, il maresciallo
  Pietro Badoglio, che con spavalderia aveva messo in dubbio l’amor patrio
  dello stesso Monterisi. L’Arcivescovo, già seriamente minato in
  salute, quasi a riprendere il suo giovanile vigore, ebbe a rispondere senza
  remore: “Non permetto che si metta in discussione la mia italianità;
  mi sento e sono più italiano del maresciallo Badoglio. Quando il popolo è rimasto
  solo e stremato dalle sofferenze della guerra io, vecchio di 76 anni, col mio
  clero sono rimasto al mio posto a conforto e sollievo della popolazione, mentre
  il maresciallo Badoglio è scappato a Pescara!”
  Nicola Monterisi nacque a Barletta il 21 maggio 1867 da Angelo e Maria Decorato, “frutto
  maturato nel seno di una famiglia che, quanto a spirito profondamente cristiano,
  era tra le prime della nostra città” (padre Giuseppe Filograssi,
  S.J.). Si tramanda un particolare che ha sapore di “Fioretti di S. Francesco”,
  riguardante sua madre. Assidua frequentatrice della Chiesa di S. Giovanni di
  Dio per la santa Messa quotidiana, nella sua fede adamantina, dopo aver ricevuto
  la Comunione era solita allattare i propri figli (quattro dei quali si consacrarono
  al Signore) per renderli partecipi del Banchetto Eucaristico. 
  In questo ambiente naturalmente religioso Nicola maturò la vocazione
  al sacerdozio, dando inizio all’iter formativo col frequentare il Ginnasio
  presso il Seminario Interdiocesano di Bisceglie (1881-1886), alla scuola del
  grande Rettore don Donato Dell’Olio, poi Cardinale Arcivescovo di Benevento,
  e il liceo presso il Seminario Vaticano (1886-1889). Negli anni 1889-1893 fu
  alunno dell’Almo Collegio Capranica (dove strinse amicizia con Romolo
  Murri), studiando Filosofia e Teologia alla Gregoriana. Si laureò in
  Teologia Dommatica alla Gregoriana, in Diritto Canonico all’Apollinare
  e in Lettere presso la Regia Università di Roma, con la tesi “Leggenda
  e realtà intorno a S. Ruggero, Vescovo di Canne e Patrono di Barletta” (primo
  studio critico sul Santo) che, per il suo rigore scientifico, meritò il
  plauso dai componenti della Commissione, noti per tendenze anticlericali.
  Ordinato sacerdote il 15 agosto 1893, celebrò la Prima Messa in San
  Giovanni di Dio in Barletta, così come nove anni prima aveva fatto suo
  fratello Ignazio. Tornato in Diocesi insegnò Teologia nei seminari di
  Bari, Trani e Bisceglie fino al 1908, anno in cui fu nominato primo parroco
  del Santo Sepolcro e Canonico Teologo della Cattedrale Metropolitana di Barletta.
  Formato nella Roma di Leone XIII, quel Pontefice che intervenne con vigore
  nel campo politico-sociale dopo il lungo freno provocato dal “non expedit” di
  Pio IX, il giovane e vivace Monterisi promosse nella città natale il
  laicato al rinnovato impegno della Chiesa nel mondo: infatti è annoverato
  tra i fondatori del “Circolo Leone XIII”, che riuniva una schiera
  di giovani animosi e pugnaci in contrapposizione ai gruppi politici anticlericali
  del territorio. Fu in seno a questa fucina che nel 1902 fondò il battagliero
  periodico cittadino “Il Buon Senso”: con la sua penna fece apprezzare
  e affermare ulteriormente la sua persona.
  Negli anni di parrocato (1908-1913) si distinse per lo zelo nell’organizzazione
  catechistica, nella predicazione, nel promuovere le vocazioni sacerdotali,
  nell’incrementare opere sociali, nella cura verso le famiglie povere
  e particolarmente verso gli ammalati. Infatti nel 1910, mentre nella città infieriva
  il colera, don Nicola Monterisi si offrì come cappellano del Lazzaretto,
  restando in quel luogo, giorno e notte, per un lungo lasso di tempo, dando
  altissimo esempio di carità evangelica.
  Il 17 febbraio 1913 moriva santamente in età prematura il fratello vescovo,
  Ignazio, ritiratosi nella sua casa natale ormai gravemente minato in salute,
  vittima dell’instancabile zelo esercitato nella complessa diocesi di
  Potenza. Nel medesimo anno, con bolla del 22 agosto, San Pio X lo promosse
  Vescovo di Monopoli; di lì il 15 dicembre 1919 venne eletto Arcivescovo
  di Chieti e il 5 ottobre 1929 trasferito nella sede primaziale di Salerno.
  Nel suo trentennio di Episcopato si mostrò pastore di grandi vedute
  e capacità organizzative, oltre che uomo di Dio, contribuendo ad un’opera
  capillare di moralizzazione e di ravvivamento della fede. Il pullulare di tante
  iniziative contribuì a colmare in campo formativo le lacune di un passato
  poco roseo, descritte con quella chiarezza di vedute che contraddistingueva
  lo stesso Monterisi: “Il nostro è un popolo fanciullo: immaginoso,
  volubile, credulone, ignorante. Nel regime poco vale il ragionamento, molto
  la forza di tutela, dell’ambiente, dell’esempio. Così l’hanno
  governato tutti i governi passati. Questa la sua fisionomia morale. La forza
  della grazia avrebbe dovuto correggere codesti difetti, ma qui la vita cristiana
  non è stata alimentata con l’istruzione e coi sacramenti, per
  deficienze secolari nel clero, delle quali è impossibile qui scrivere.
  Sono cose lunghe ed anche conosciute”.
  Per questo, già promotore di nuove parrocchie nella sua città natale,
  ancor più da vescovo nelle sue Diocesi (il Meridione era povero di parrocchie
  e di istituti religiosi) si adoperò nel far sorgere nuove parrocchie,
  case religiose maschili e femminili.
  Particolare attenzione rivolse ai Seminari e alla scelta dei superiori e dei
  maestri perché era convinto che da una migliore formazione del clero
  dipendeva la svolta qualitativa della Chiesa. Si adoperò anche per una
  maggiore crescita di qualità e di responsabilità del laicato
  per la cui causa si fece pugnace assertore dell’associazione di Azione
  Cattolica. Nelle iniziative che come vulcano andava escogitando fu largo di
  contributi personali, dando ai fedeli e al clero esempio di grande disinteresse.
  I suoi interventi ebbero eco in Italia e all’estero. Basti pensare alla
  famosa Lettera Pastorale del 1917: “Nella guerra attuale benediciamo
  il Signore”, che richiamò l’attenzione del Santo Padre Benedetto
  XV e si diffuse rapidamente in Italia con ben dieci edizioni e in Francia con
  due edizioni, varcando perfino le soglie degli Stati Uniti. I suoi scritti
  - come accade di rado - resistono ancora all’usura del tempo per la loro
  immutata attualità e sagacia; anzi acquistano sempre più un respiro
  profetico.
  Già nel 1949, a cinque anni dalla sua morte, il vescovo di Albenga,
  mons. Raffaele De Giuli, invitava in questi termini mons. Antonio Balducci
  a diffondere il magistero del grande vescovo Barlettano: “Mi pare necessario
  raccogliere in un volume da diffondersi gli scritti di Mons. Monterisi. Egli è stato
  un gigante d’impareggiabile grandezza, capace di affrontare tutte le
  battaglie: fu una guida, un modello. Io avrei caro di veder raccolti anche
  solamente i suoi moniti nel Bollettino. Quanto bene potrebbero fare non solo
  ai fedeli, ma anche ai vescovi”-.
  Verso il tramonto della sua vita terrena “si era spogliato di tutto -
  afferma mons. Balducci - aveva disposto di quanto vi era nel palazzo episcopale,
  a favore della Mensa Arcivescovile; aveva destinato anche il suo patrimonio
  familiare per le missioni ed esercizi spirituali al popolo alla parrocchia
  in cui era stato battezzato”, la sua sempre amata San Giacomo Maggiore,
  chiesa dell’infanzia, che anche da vescovo, ogni qual volta ritornava
  a Barletta, non mancava mai di visitare, gloriandosi - a detta di chi ancora
  lo ricorda - di dirsi “suo filiano”. Così in assoluta povertà il
  19 marzo 1944, giorno del Santo Patriarca Giuseppe, a cui fu particolarmente
  devoto fin dalla più tenera età, decise di entrare nel ricovero
  degli anziani di Salerno per attendere al grande incontro col Signore. Sulla
  tomba volle vi fosse scritto: “Non mi giovarono in morte tre mitre e
  due pallii, ma la divina speranza che avendo il mio Salvatore preso sopra di
  sé i miei peccati, mi risusciterà seco nell’ultimo giorno”.
  In questi sessant’anni trascorsi dalla sua morte, Barletta, sua città natale,
  e le tre Diocesi che lo hanno avuto Padre e Maestro, sempre memori dei grandi
  benefici da lui ricevuti, non hanno mai smesso di tenere viva la sua memoria
  con un susseguirsi di pubblicazioni, convegni, celebrazioni e iniziative varie.
  Inoltre, “essendo opinione comune che l’attività apostolica
  di mons. Nicola Monterisi, oltre che da profonda preparazione culturale e saggezza
  di governo, è stata mossa principalmente da una cristallina santità di
  vita”, sarebbe da prendere in seria considerazione la proposta avanzata
  dieci anni or sono dall’Arciprete del Capitolo Cattedrale di Barletta,
  mons. Ruggero Cavaliere, unito ad una folta rappresentanza del clero locale
  di introdurre, cioè, la Causa di Canonizzazione dell’ottimo Presule,
  emulo del patrono di Barletta, san Ruggero, che fu oggetto dei suoi studi giovanili.
  La sua figura, così, brillerebbe sull’intero orizzonte della Chiesa
  quale modello di Pastore, affiancato ad altre figure di vescovi santi che hanno
  illustrato la Chiesa Italiana del secolo appena lasciato alle spalle, quali
  il card. Andrea Carlo Ferrari e il card. Ildefonso Schuster, arcivescovi di
  Milano, il card. Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze, mons. Raffaello
  Delle Nocche, vescovo di Tricarico, mons. Giuseppe Di Donna, vescovo di Andria
  e, non ultimo, mons. Ignazio Monterisi, vescovo di Marsico-Potenza, fratello
  del Nostro.
            Sabino Lattanzio (marzo
                2004)
            
              << vai all'indice del
              canale