VECCHI TIPOGRAFO, EDITORE, ESTETA
            Giunse dal Nord nella Puglia fine ‘800 per sedurre Croce
          Nel 1868, in una fredda mattina del mese di dicembre, dopo un  lungo viaggio giungeva nella stazione di Barletta il tipografo emiliano  Valdemaro Vecchi, che portava con sé i segreti dell’arte della stampa appresi  nella terra del grande Giambattista Bodoni. Nella cittadina adriatica aprì un  piccolo stabilimento dove incominciò a pubblicare moduli e manifesti per il  Comune, libri e opuscoli di studiosi locali e soprattutto i primi giornali  politico-amministrativi. Poi il destino e la “fortuna” lo avrebbero chiamato a  Trani dove nel 1879 si trasferì definitivamente per lasciare un segno ancora più  profondo e duraturo: avvalendosi dell’esperienza e della fedele collaborazione  del socio Giuseppe Pietrarota avviò una efficiente e moderna azienda  tipografica che si segnalò ben presto per la nitidezza dei caratteri, per un gusto  non comune dell’impaginazione, per la fitta rete di rapporti non solo con gli  esponenti più noti dell’intellighenzia pugliese, ma anche con studiosi e  scrittori di altre regioni come Giovanni Gentile, Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco e soprattutto  Benedetto Croce che giovanissimo incominciò a scrivere per la “Rassegna  pugliese”, una rivista ideata e diretta dallo stesso Vecchi. È proprio a quegli  anni che risalgono i primi interessi del filosofo per la Puglia che non  sarebbero venuti meno neanche dopo la morte del tipografo avvenuta nel 1906.
            Dell’esperienza umana e intellettuale  di Valdemaro Vecchi, del suo importante ruolo ricoperto nello sviluppo e  nell’affermazione dell’arte della stampa in Terra di Bari tra Otto e Novecento  si occupa lo studioso barlettano Renato Russo in un corposo, elegante volume  pubblicato per i tipi dell’Editrice Rotas, Valdemaro Vecchi. Ricordo del  grande tipografo-editore a cento anni dalla morte 1906-2006 (pp. 470, euro  38,00). Si tratta di un libro scritto non tanto per ricercatori e specialisti  di storia della stampa quanto per un pubblico più vasto, che intende far  rivivere nella memoria dei pugliesi - e soprattutto - delle comunità nelle  quali Vecchi operò (Trani, Barletta, Giovinazzo) - la tenace, coraggiosa avventura di un intellettuale/imprenditore  del Nord in una terra come la nostra tristemente nota per l’analfabetismo, per  la mancanza di istituzioni accademiche, per l’inadeguatezza del sistema  scolastico.
            L’evidente partecipazione emotiva dell’autore  all’“impresa” di Vecchi non fa comunque velo alla minuziosa ricostruzione degli  eventi, ad un ritratto a tutto tondo dell’editore che appare così nella sua  grandezza non solo per le innegabili doti  professionali, ma anche per le qualità umane, per la sua straordinaria forza  fisica e morale.  Insomma, è una  iniziativa utile e meritevole che va ad aggiungersi alle sentite manifestazioni  che l’anno scorso, in occasione dei cento anni dalla scomparsa dell’editore, si  sono svolte a Trani. Una iniziativa che speriamo possa ridestare anche  l’interesse di esperti della cultura regionale e della storia dell’editoria  italiana tra Otto e Novecento su questa importante officina tipografica che,  secondo Croce, primeggiava in tutta l’Italia meridionale per precisione ed  eleganza: per qualcosa di simile, scrisse più volte, bisognava “pensare  all’Arte della stampa di Firenze o simile”.
            Se insomma Giambattista Bodoni fu definito “tipografo  dei re” e “re dei tipografi”, Valdemaro Vecchi può meritarsi il titolo di  “esteta dei tipografi”, tipografo di Croce e di Gentile, “maestro” di Giovanni  Laterza, di un uomo che a Bari seppe raccogliere la parte più difficile di  quell’insegnamento con intelligenza e gratitudine. Quando infatti nel 1913 si  pensò a qualcosa per celebrare “il primo centenario di Bari nuova” ovvero la  costruzione del borgo murattiano, la sua casa editrice dedicò “con venerazione”  alla memoria del tipografo venuto in Puglia “dalla terra di Bodoni” un elegante  volume “tirato in trecento esemplari numerati”, impreziosito da un frontespizio  con caratteri in rosso e in nero, da fregi, capilettera, riproduzioni di stampa  e dipinti.
            C’è da sperare, insomma, che nell’immediato futuro,  tra il centenario della morte di Vecchi e il bicentenario della costruzione del  borgo murattiano, qualcuno si impegni a ricordare anche a Bari l’operosa  vicenda di Vecchi nella quale, come si legge in un volume della Laterza sugli  editori italiani tra Otto e Novecento, sembra riflettersi in maniera evidente  ed esemplare “la dialettica fra la Nazione e la Regione, fra il generale e il  particolare, fra la fertilità della terra e la luce del cielo”
          
          Pietro Sisto (giugno 2007)