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LE IMMAGINI: L’ALTRA FORMA DELLA BIBBIA … PURO E DISPOSTO A SALIRE A LE STELLE. È PROSSIMA LA RIAPERTURA AL CULTO DELLA CHIESA DEL PURGATORIO

Un bel cancello in ferro venne a sostituire quello precedente, in legno, realizzato dall’artigiano Francesco Sguera nel 1958. Entriamo così nel prònao (non lo chiameremo vestibolo, che è degli edifici classici, né nartece, che nelle basiliche paleocristiane è spazio riservato a catecumeni e penitenti). Qui assolve piuttosto a trastullo architettonico o a compiti più funzionali che allegorici: è filtro alla preghiera silenziosa per chi s’appresta ad entrare, è spazio per i saluti quando termina la funzione sacra, e i confratelli del Purgatorio non hanno altri locali per scambiarsi le solite quattro chiacchiere.
È luminoso il prònao, ora che i muri ripuliti da Cosimo Cilli riflettono di sghembo il sole del tramonto. Ma purtroppo tutto quel salutare attardarsi fra i tre cancelli è ora spezzato da una inopportuna sepoltura. Nessuna riserva per le virtù del sepolto, sia chiaro: ma è da Saint-Cloud (fin dal 1804) che Napoleone - e ce lo ricorda ancora Foscolo nei suoi Sepolcri, poesia per lui, ma per noi tormentone scolastico - non volle più sepolture nelle chiese. Fatta eccezione per il ritorno dei resti di beati e santi, tutti gli altri hanno un luogo per il riposo e le lacrime: il cimitero. Sono tanto di moda comitati ricettatori che seppelliscono preti e vescovi nelle chiese di servizio o di fondazione: qui, sì, rimarranno illacrimate le sepolture! Se ci sappiamo mortali ed inutili…
Ma lascio da parte questi pensieri. La porta e la bussola sono opera d’ebanisteria (tra 1932 e 1934) realizzata dagli operai dell’azienda “Stellatelli Savino”. Guardo le 32 formelle che decorano il gran portone: non ce n’è una uguale all’altra. Qui raccolti, sono motivi che vengono da lontano (lontano di epoche e di luoghi), sopravvivenza paesana di esotismo romantico e decadente, raro esempio locale di rivalutazione di arti pregresse, risposta alla disumanizzazione dell’artigianato nella società delle macchine, lavoro corale ed armonico, antidoto di serenità e bellezza alla paccottiglia industriale. Mi riferisce un artigiano ebanista, che con l’orgoglio della barlettanità custodisce con sana gelosia molte notizie in merito ad interventi del XX secolo: “Meritano il nostro ricordo gli operai di quella Ditta: analfabeti, che avevano nelle mani cervello e cuore. Si chiamavano Nicola Pignatelli, Nicola Cafagna, Luigi Fiorella jr. ed altri. Le sculture in legno le eseguì Oronzo Delvecchio. Quest’ultimo, lo ricordo, girava con carta e matita tra le rovine di Canne, tra i capitelli e i portali delle nostre chiese, a ripetere motivi e ornamenti per i suoi lavori. Dello stesso intagliatore furono la bussola di S. Ruggero, il portone e la bussola del Santuario dell’Immacolata, la bussola del Monte di Pietà. Potrei ricordare male, ma credo che l’orientamento artistico di quegli anni venisse da Giuseppe Gabbiani”.
La forma convessa del portico prepara all’incontro con l’aula: è un ottagono allungato (tale appare ad occhio nudo), e solo il rilievo riesce ad evidenziare che invece si è giocato col tracciato di un ovale su un ottagono irregolare. E qui è più prudente che io taccia. Io ho il malvezzo di far palpitare i sensi, perché preso dall’abbraccio di questa auletta, coperta da cupola, aula più alta che lunga, che non ha prese di luce in basso: le fonti di luce, infatti, sono poste molto in alto, quasi sotto il cielo, quasi alle porte del Paradiso. Che volete? È ancora Dante che imperversa nei nostri pensieri datati:
Io ritornai dalla santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinnovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le stelle. (Pg XXXIII, 142-145)
Per questo è opportuno che da questo momento la parola passi ad un tecnico qualificato: sarà il giovane architetto Marianna Cognetti, laureata con una tesi sul nostro Purgatorio, il primo lavoro scientifico su questa chiesa.
Mi rimane ancora un ultimo dovere: dire il mio grazie al restauratore Cosimo Cilli e alla sua squadra di operai. Hanno tutti operato con perizia, confrontandosi continuamente con la committenza e sempre verificando il proprio lavoro con l’architetto Giuseppe Teseo, funzionario della Sovrintendenza ai Beni Architettonici di Bari, al quale in particolare va la gratitudine della Città e della Diocesi.

don Gino Spadaro (Aprile 2002)

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