| LA DISFIDA DI BARLETTAnelle fonti storiche e letterarie
 È questo il titolo dell’ultima
            pubblicazione di Renato Russo sulla Disfida di Barletta, che il nostro
            va studiando ormai da molti anni, in parallelo con altre vicende, luoghi
            e persone che hanno costituito la storia della nostra città.La pubblicazione, che reca in copertina il dipinto ottocentesco di
            Cesare Caroselli conservato a Genazzano, intitolato appunto La Disfida
            di Barletta, potrebbe sembrare a prima occhiata un prezioso compendio
            di ricerca, come recita il sottotitolo, delle fonti storiche e letterarie
            che hanno concorso a fare della Disfida di Barletta un evento che
            riscuote ancora tanto successo non solo nella sua città, ma che è vivo
            e presente nell’immaginario collettivo italiano, ed è stato
            esportato all’estero da italiani fantasiosi, ricevendo lo stesso
            successo. Se così soltanto fosse, lo storico avrebbe già raggiunto
            il suo scopo, e noi avremmo fra le mani una ‘chicca’, che
            diventa un pregevole strumento di conoscenza e di consultazione. Questo
            volume, invece, supera di gran lunga la ricerca e la conseguente descrizione
            delle fonti, e con esse, facendole rivivere e parlare, s’inserisce
            in un contesto ben più ampio, nel dibattito culturale che da
            500 anni gira intorno alla Disfida. Nella famosa diatriba che vede
            contrapposta la tesi del fatto d’arme, d’onore e di patria
            a quella della lite in osteria fra soldati avvinazzati, s’inserisce
            la tesi di Renato Russo, che da molti anni va sostenendo - con il suffragio
            dei documenti - che non si trattò di banale tenzone da litigio,
            ma di un fatto che aveva la sua ragion d’essere all’interno
            di un disegno politico tra Francia e Spagna, giocato tutto sullo scacchiere
            del sud Italia. E che ebbe eco vastissima e autorevole già all’indomani
            della vittoria degli italiani.
 Il libro si apre proprio sull’affresco storico e sugli antefatti
            e le cause che condussero alla sfida, fino all’accoglienza a
            Barletta dei Tredici vincitori e alle reazioni in Italia, clamorose,
            come fanno fede i numerosi dispacci che gli ambasciatori del tempo
            si trasmisero da una corte all’altra. E da qui, le fonti. Tante,
            ricche e importanti, dalla lettera scritta di suo pugno, il 14 febbraio
            1503, giorno dopo l’avvenimento, dal Gran Capitano Consalvo da
            Cordova al barone di Viggiano, ai diari di Marin Sanudo, alla celebre
            lettera scritta a Crisostomo Colonna da Antonio Galateo Ferraris, per
            dire solo di alcuni. E ancora, l’Anonimo Autore di Veduta (sul
            quale Russo si sofferma anche per offrire un ventaglio d’ipotesi
            che tentino di stabilirne l’identità), passando per Francesco
            Guicciardini, le cronache spagnole e le fonti francesi, i poeti e gli
            storici del ’500. E a chi ha affermato che dopo il 1500 e fino
            alla riscoperta dazegliana la Disfida sia rimasta silente nelle coscienze
            e negli scritti, l’Autore risponde implicitamente con “poche
            ma autorevoli voci” di poeti e storici del ’600 e del ’700:
            valgano per tutti il poeta Gian Battista Lalli, autore di una Franceide,
            sulle orme della più famosa Secchia rapita del Tassoni, e lo
            storico Giovanni Antonio Summonte, autore di un Carme sulla Disfida
            di Barletta all’interno della ponderosa opera in quattro volumi
            sulla Historia della città e del Regno di Napoli.
 Quella che potremmo definire seconda parte del saggio, si apre proprio,
            e non potrebbe essere altrimenti, con l’Ettore Fieramosca di
            Massimo D’Azeglio. Troppo, forse, si è detto nei mesi
            scorsi - durante le celebrazioni del Cinquecentenario della Disfida
            - su questo romanzo, sullo iato esistente fra le vicende narrate dal
            marchese e politico torinese e la storia vera, sulla fortuna del romanzo
            e su quanto, nella sua scia, sia stato prodotto in pittura, in musica
            e in tutte le arti. Ma anche qui il Russo ci sorprende, e ci regala
            una serie di testimonianze ‘eccellenti’, che comprendono
            nomi del calibro di Benedetto Croce, Francesco de Sanctis, fino allo
            storico Giuliano Procacci. Senza trascurare la produzione pre e post-unitaria,
            infila l’occhio esperto e allenato dello storico dentro la quotidianità,
            i carteggi, le sorti dei vari monumenti legati alla Disfida, le celebrazioni
            per il 4° centenario, e arriva ai nostri giorni, nei quali la storia
            si confonde e va a braccetto con la cronaca, sempre con la cifra impressionante
            di una estesa produzione poetica, storica, saggistica, giornalistica,
            teatrale e cinematografica.
 Ci par di capire, giunti in fondo al libro e scorrendolo poi asincronicamente,
            che lo storico si sia divertito fra le carte consultate, che abbia
            preso gusto a mescolarle e rimetterle in ordine, per offrire un prodotto
            leggero ma rigoroso, che rispetti i ruoli della storia, del romanzo
            e di quanto li contorni, valorizzando ogni espressione legata a questo
            evento, la Disfida, che al di là delle singole valutazioni è sicuramente
            molto sentito e amato. Tutto questo si coglie con chiarezza rileggendo
            bene la pagina introduttiva, che come ogni prefazione è in realtà una
            post-fazione, laddove il Russo dice: “...in fondo un romanzo,
            anche quando è ispirato da un fatto storico, è pur sempre
            frutto di immaginose ricostruzioni. Non così la ricerca documentale,
            nella quale dovrebbe essere più rigoroso il metodo della verifica
            selettiva accompagnata da una severa esegesi critica”. E tuttavia
            la narrazione aneddotica costituisce in fondo “altrettanti piccoli
            episodi che, pur ai margini della grande storia, ingentiliscono e umanizzano
            un tempo bieco e torvo dominato dai soprusi e dalle guerre”.
 Carmen Palmiotta (Novembre 2003) |