| AMARA DIAGNOSI DI UNA DECADENZA ANNUNCIATAIl Sole 24 Ore ha inserito Barletta tra le città capoluogo e  quindi si potrà seguire, 
              attraverso lo studio delle tabelle che  periodicamente pubblica, lo stato di salute della nostra città.
 La prima tabella non è affatto confortante,  stiamo al quart’ultimo posto; in Puglia precediamo soltanto Taranto, comune in  dissesto finanziario. Si tratta dell’indice di spesa per il welfare. Una  posizione veramente disarmante, vedremo gli altri indici mano mano che verranno  pubblicati. Ma c’è da aspettarsi poco di meglio. Eppure Barletta si poneva,  fino a poco tempo fa, tra le città più vivaci del meridione, almeno dal punto  di vista economico-imprenditoriale. Varie le cause di tale decadenza. Da vari  decenni ha perso rilevanza territoriale dal punto di vista scolastico; infatti,  fino agli anni Sessanta Barletta era, per le cittadine dell’area ofantina che  va da Spinazzola a Margherita di Savoia, l’unico approdo per chi voleva  proseguire gli studi oltre la scuola media. Al liceo ho avuto compagni di  classe di Canosa, Spinazzola, Margherita. Questo stato di fatto si protrasse più  a lungo per l’Istituto Tecnico Commerciale. Tutti gli Istituti Tecnico  Commerciali Statali dell’attuale nuova circoscrizione provinciale sono sorti,  in quegli anni, come sezioni staccate del Tecnico di Barletta ad opera del  preside prof. Francesco Filannino. Questo non bisogna dimenticarlo!Naturalmente il diffondersi della istruzione  superiore avrebbe dovuto portare, come avvenuto altrove, a una progressiva  diffusione della istruzione universitaria. Ma in Puglia solo in tempi recenti  si è potuto assistere al sorgere di altri atenei prima a Lecce, poi a Foggia ed  infine a Taranto. Per tutti e tre ha influito molto essere capoluogo di  provincia ed avere una propria Camera di Commercio promotrice.
 Un altro fattore di più recente progressiva  decadenza è stato quello del settore agro-industriale che si è polverizzato e,  sicuramente, ha perso gran parte della sua funzione trainante. Eppure dai primi  anni unitari fino a tutti gli anni Sessanta, esattamente per un secolo, tre  fattori avevano contribuito, in maniera determinante, al nostro sviluppo  socio-economico: la ferrovia, il nuovo porto e la vigna.
 Il contesto che ne venne fuori fu poderoso; dopo  secoli di stagnazione, che Francesco Paolo de Leon (1734-1809) la data dalla  guerra franco-ispana del 1500, finalmente con il 1861 tutto ripartiva, come se  un lievito nuovo avesse messo in fermentazione una massa fino ad allora inerte;  basta leggere i diari di Elefante, fine ‘700, e di A. De Leone prima metà ‘800,  per avere chiara la sensazione dell’immobilismo economico e culturale in cui  versava la nostra comunità.
 Dei tre fattori di sviluppo il porto, costruito  per le esportazioni granarie, si trovò, in breve volgere di anni, ad assumere  una funzione industriale a supporto di un agricoltura che il frazionamento  terriero delle mezzane e dei musciali aveva trasformato in un immenso vigneto.
 Nello stesso tempo la realizzazione della  ferrovia adriatica aveva unito fisicamente le due Italie.
 Si assistette all’installarsi di industrie di  rilevante peso, per lo più legate all’agricoltura, alcune con capitali locali,  come Appula e Cementeria. Fabbriche di concime, di tartrati, distillerie e  cementerie con conseguente traffico portuale di marne cementizie, di fosfati,  pirite, carbon fossile, materie zuccherine e vinose, oltre al legname per le  numerose fabbriche di botti ed imballaggi.
 La ferrovia, oltre che offrire essenziale  supporto alla movimentazione dei prodotti industriali, fu determinante nel dare  sbocco alla sovraproduzione vinicola, conseguente alla guerra doganale con la  Francia, indirizzandola, con trasporti ferroviari agevolati, verso i mercati  dell’Europa settentrionale, specie Austria e Svizzera; la ferrovia favorì anche  un vasto mercato ortofrutticolo. Fu questo settore, oltre a quello vinicolo ed  agro-industriale, ad attrarre a Barletta le principali banche nazionali, con  influenza sull’intero territorio ofantino, aventi attrezzati uffici estero.
 Il lento declino industriale, con la dismissione  di alcuni stabilimenti, portarono già a domandarsi se non era opportuno la costituzione  di un’area industriale gestita da un ente pubblico, ma il solito ostacolo della  mancanza di una autonoma autorità provinciale e camerale fece desistere questa  aspirazione, portata avanti specialmente dal gruppo che si era formato attorno  ad Armando Messina, allora consigliere provinciale. Dai più si pensò che il  tessile-calzaturiero, allora in forte sviluppo, avrebbe assorbito ugualmente la  mano d’opera dal settore primario dando nuovi orizzonti all’economia barlettana  senza bisogno di sovrastrutture quale era il consorzio della zona industriale.
 Ciò è stato vero per alcuni decenni; poi  l’assenza di un’area attrezzata in cui allocare razionalmente le iniziative  economiche del Nord Barese si è fatta sentire, ancora oggi la sua mancanza  allontana non solo occasioni esterne, ma, anche, reali tentativi di  ristrutturazione di nostre imprese: il concomitante sviluppo dell’area  molfettese ne è il concreto esempio.
 L’economista Emmanuele Daluiso nel suo  intervento sul Fieramosca 11/2007 pone in evidenza questa situazione di  fragilità dei capoluoghi della neonata provincia, collocandoli all’ultimo posto  dei capoluoghi meridionali in termini di capacità economica, specie per quanto  riguarda la terziarizzazione. Mentre per popolazione, considerando i tre capoluoghi  un unico ente, si colloca al sesto posto nel meridione dopo Napoli, Palermo,  Bari, Catania e Messina, ma quale abisso se andiamo a confrontare le realtà  sopracitate con la realtà delle nostre città se pur unitariamente considerate!
 Anche il giudice Francesco Messina nello stesso  numero del Fieramosca pone in evidenza come “gran parte della popolazione  barlettana sembra aver abdicato a quella capacità di elaborazione culturale che  pure ha in passato caratterizzato la sua migliore tradizione contadina ed  operaia, insieme a quella della borghesia più illuminata!”
 Questo senso di sconfitta è quello che fa più  male.
 È  da prendere atto che in questi ultimi cinquant’anni c’è stato un ineludibile  cambiamento: quelli che erano stati, a partire dalla seconda metà dell’800 i  motori di sviluppo hanno perduto valenza, e altri valori per lo più  smaterializzati, che prima ci erano sembrati ininfluenti, si sono rilevati  essenziali; mi riferisco, in particolare, allo status di provincia. Ci sono  mancati gli opportuni anticorpi per assecondare il cambiamento ed indirizzarlo  verso lo sviluppo.
 Biagio Cavaliere (maggio 2008) << vai all'indice del canale |