LA STORIA DELLA SESTA PROVINCIA
            attraverso le storie delle sue dieci città
          Una provincia che guarda al futuro 
            senza dimenticare il proprio passato
          La storia della provincia ofantina è testimonianza
            di un grande passato, proiettata
            su un futuro ricco di generose promesse,
            un futuro che ci appartiene, se sapremo affrancarci
            da autolesionistici atteggiamenti
            rissosi e rivendicativi.
            Sintesi di terra e di mare, sovrastata
            dall’azzurro di un limpido cielo, è una provincia
            viva già nelle espressioni dei dialetti, nella
            fertilità delle sue campagne, nella religiosità
            dei suoi santi protettori, nelle sue folcloristiche
            tradizioni, nel suo artigianato antico.
            E il mare, la costa sabbiosa per il piacere
            solare dei bagnanti, le notti stellate quando
            i pescherecci al largo riempiono le stive di
            pescato adriatico, l’intenso odore salmastro
            che effondono le sporte di pesce al mercato
            mattutino.
            La provincia non è solo storia e bellezze naturali, ma vivacità operativa, una
            fiorente economia, un commercio in via di espansione ricco di una moltitudine di
            esercizi e di una redditizia terziarità. Un’agricoltura che ancorché sofferente, per
            gli elevati costi produttivi e le inadeguate remuneratività, persevera nella caparbietà
            di una consolidata tradizione, quella di produrre dai suoi vigneti e dai suoi
            uliveti frutti genuini che hanno saputo conquistare signifi cative fette di mercato.
            Esperti artigiani rinnovano per le basolate stradine degli antichi borghi medievali
            lo scambio di vetuste attività che legano il passato al presente, al chiuso
            di botteghe annerite dalla fuliggine e impregnate degli odori di arcaici mestieri,
            ambulanti che col loro cadenzato vociare richiamano l’attenzione delle donne
            del borgo, o i funai che al margine di sbrecciati marciapiedi tirano le zoche dai
            verricelli o assorti pescatori intenti al rammendo delle loro reti.
            E le industrie, né tante né poche, le alte ciminiere che espandono nel cielo
            l’emissione dei lori fumi, che si arruffano con le nuvole disperse dal vento di tramontana.
            E gli operai, da mane a sera intenti al loro monotono lavoro di routine
            accanto alla giostra circolare.
            E poi il turismo, una ricchezza che ondate di vacanzieri in crescita valorizzano
            annualmente con ritmi crescenti, turismo culturale e cultura turistica, una
            moltitudine di iniziative e di opere che ogni città allestisce di suo, e che aggiornati
            tour operator sospingono alla ricerca di una comune identità territoriale.
            Accanto a un turismo di qualità, la cultura religiosa, espressione delle manifestazioni
            sacre, come le processioni tradizionali legate alla devozione che ha
            la cadenza di riti ancestrali.
            Dieci città, ciascuna coi suoi inconfondibili connotati storici, le sue bellezze artistiche, le sue risorse turistiche, le sue peculiari tradizioni
            ludiche e religiose, ciascuna coi suoi progetti, i suoi programmi,
            i suoi sogni.
            Dieci città un territorio, che la nuova Provincia deve accomunare
            in un progetto unitario e sintonizzare su un’unica
            lunghezza d’onda, che non parte da zero, ma da alcune
            esperienze pluriennali come quella di Puglia Imperiale, con
            sede a Trani, ma innervata in ognuno degli altri nove centri.
            Nata dieci anni fa dall’intesa dei Comuni aderenti al Patto
            Territoriale Nord-Barese Ofantino, ha alimentato in tutti
            questi anni una comune tradizione turistica promuovendo
            un gran numero di iniziative veicolate da un bollettino informativo
            di prim’ordine riccamente illustrato e documentato,
            un’antologia di pezzi monografici sulla molteplicità di iniziative
            di ogni realtà cittadina, un approfondimento tematico
            riccamente illustrato, sulla loro storia, cultura, ma anche
            sulle loro tradizioni e sul loro folclore.
            Dieci comuni, un territorio al centro fra le provincie di Bari
            e Foggia, la cui area corrisponde a quella che anticamente i
            geografi chiamavano Peucetia, la terra dei Pedicoli. Terra fortunata
            alla quale non fanno difetto l’acqua che la bagna quanto
            basta e il sole al cui calore maturano i lunghi filari d’uva, i
            campi di grano ondeggianti al vento di giugno, i nodosi olivi
            secolari, i robusti mandorli la cui bianca fioritura annuncia
            l’arrivo della primavera, i multicoloriti frutteti: pesche, ciliegie,
            fioroni, susine, gelsi, meloni di ogni tipo, senza dire delle verdure,
            lungo gli antichi muretti a secco che segnano le nostre
            campagne, punteggiate da trulli muschiati d’antica fattura.
            Una dirompente distesa di luce, lungo quaranta chilometri
            di coste baciate dal sole, nella continuità di una storia
            che viene di lontano, dalle caravelle in navigazione verso gli
            approdi del Mediterraneo, dai Crociati verso la Terra Santa,
            dalle leggende di cui sono ricche le nostre fantasiose
            origini, dalle barche intrise di salsedine rancide di cordami
            usurati dal tempo, avvolte nelle vele gonfiate dal vento di
            maestrale. E all’interno, castelli normanno-svevi, santuari
            consacrati al culto della Madonna, masserie fra declivi infracollinari,
            torri fortificate, dolmen, menhir, ipogei funerari,
            emergenze archeologiche.
            E le tradizioni religiose, i dolenti riti del Venerdì santo,
            le reliquie esposte dei Santi protettori, le feste patronali, le
            processioni, i fuochi pirotecnici, le giostre, le bancarelle, le
            bande paesane, quel sapore di zucchero filato e il parapallo
            che ci riportano all’età dell’innocenza, a quand’eravamo
            ragazzini…
            Dialetti così diversi, in città poco distanti fra di loro,
            retaggio di millenarie divisioni territoriali tra centri diversamente
            infeudati, sottomessi, levantini, sempre pronti alla
            contesa per l’orgoglio ferito della propria dignità d’antico
            lignaggio etnico…
            Con la vocazione all’indipendenza l’una dall’altra, città
            gelose ciascuna della propria storia, delle proprie tradizioni,
            del proprio idioma, del proprio passato intriso di leggende,
            l’unica realtà territoriale italiana ramificata su tre capoluoghi,
            l’incapacità ad affrancarsi da ataviche gelosie e a riconoscere
            al vicino le sue qualità che insieme potrebbero
            crescere più speditamente; ma per questo ci vorrà tempo,
            mentre di tempo ce n’è poco e occorre raccordarsi in convergenti
            progettualità e fare sistema. (…)