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De Nittis a Parigi
un artista contro le mode



Giuseppe De Nittis «torna» a Parigi 126 anni dopo la sua morte. Il pittore barlettano morì in una afosa domenica di agosto nella villetta di campagna a Saint Germain en Laye. Aveva confidato alla adorata moglie Léontine di avere un forte mal di testa. Ne soffriva da alcuni giorni. Quel pomeriggio il malore si era accentuato; il pittore chiuse gli occhi, come per dormire. Si concluse così la sua avventura terrena. Erano le
18 del 24 agosto del 1884. Peppino aveva solo 38 anni.
La notizia della sua morte si diffuse rapidamente in tutta la Francia. Numerosi amici rientrarono precipitosamente dalle vacanze per l’estremo saluto al pittore. Tra i primi ad accorrere e a confortare il figlio Jacques e la vedova Léontine, Edmond de Goncourt, Edgar Degas, Alexandre Dumas che dettò l’epigrafe sulla tomba.
Per settimane i giornali e le riviste specializzate di tutta Europa pubblicarono articoli sulla cifra artistica del pittore, celebrato tra i grandi della seconda metà dell’Ottocento. Poi, improvviso, strano e ingiustificabile, l’oblio della critica. Salvo una breve parentesi nel maggio del 1886 con la grande retrospettiva nella galleria Bernheim Jeune in rue Lafitte che registrò un discreto successo: furono esposte 126 tele; ne furono vendute 33. Si dovetteattendere la Biennale di Venezia del 1914 perché le opere del De Nittis riconquistassero la ribalta internazionale, così come meritava. Ma fu solo una parentesi.
Poi ancora silenzio.
Ora De Nittis “torna” a Parigi con tutti gli onori con la rassegna “La modernité élegante” che si concluderà il 16 gennaio 2011 nel Petit Palais, Musée des Beaux Arts. De Nittis è già presente in quel museo con alcune significative opere, tra le quali “National Gallery a Londra”, un olio su tela cm 70x75 presentato all’Esposizione Universale del 1878, “La guardiana di oche”, altro olio su tela presentato al Salon del 1884.
Nella mostra parigina inaugurata il 20 ottobre sono presenti 120 opere, 47 delle quali provenienti dalla Galleria De Nittis di Barletta.
Una sorta di rivincita, quindi, sull’oblio di tanti anni. Ma, perché tanto ostinato silenzio? I motivi sono molteplici. Ma uno su tutti ha penalizzato De Nittis in maniera particolare: il suo rapporto con l’Impressionismo. Piero Dini e Giuseppe Luigi Marini, autorevoli studiosi, ricordano che «De Nittis fu operoso negli stessi anni che videro maturare la rivoluzione degli Impressionisti e in intimità con alcuni esponenti del gruppo, di cui condivise le istanze, ma con prudente gradualità, tale da conservargli il favore di un pubblico restio a digerire radicali innovazioni espressive e da lui condotto ad accettarle passo passo.» Il successo che ebbe in vita fu strumentalizzato dai critici che bocciavano gli Impressionisti per esaltare la modernità di De Nittis. Quando agli Impressionisti, anni dopo, arrise fortuna e riconoscimento critico, De Nittis fu riproposto come loro contraltare e quindi isolato, condannato «a restare una figura vagante » schiacciato, com’era, tra i Macchiaioli con i quali aveva condiviso le prime esperienze fiorentine e gli Impressionisti con i quali aveva partecipato alla prima “avventura” nell’atelier del fotografo Nadar in Boulevard des Capucines nel 1874.
Una sorta di vendetta nei confronti di chi, in vita, aveva avuto fortuna e successo negli anni nei quali i vari Degas, Monet, Renoir, Morisot, Pissarro, facevano la fame. Quasi in ossequio a quella letteratura che vuole gli artisti poveri, incompresi, addirittura derisi in vita e “scoperti” e osannati dopo la morte. Equivoci che presero piede subito dopo la sua scomparsa quando i critici si avventurarono in giudizi, forse affrettati, come Paul Mantz il quale scrisse che il pittore di Barletta servì parecchio all’Impressionismo «essendo divenuto per certe ricerche, il punto di partenza di uno studio che dura ancora»; o Ary Renan, secondo il quale De Nittis «fece penetrare con franchezza nell’animo del pubblico una parte della dottrina dell’Impressionismo », o Le Figaro che gli attribuiva un «posto di prima fila della scuola impressionista»; o Le Moniteur Universel secondo il quale il pittore di Barletta «fu uno dei primi che sapesse spogliare le teorie impressioniste da quello che esse avevano di eccentrico»; o Emile Bergerat che sul Figaro scrisse che «la morte di Giuseppe De Nittis decapita la scuola italiana e l’Impressionismo».
La verità è che De Nittis fu solo se stesso, perché possedeva un talento naturale che gli consentiva di destare «ammirazione senza meraviglia» come scriveva Léonce Bénédite, conservatore del Museo del Luxemburg e del Museo Rodin in un saggio pubblicato negli Anni Venti.

Michele Cristallo (Dicembre 2010)

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