|   Giuseppe Palmitessa a trent’anni  dalla scomparsaL’uomo, il  politico, il professionista
 20 gennaio 1988. In un freddo pomeriggio  invernale, Peppino se n’andò, in punta di piedi, senza dar fastidio a nessuno,  senza recriminazioni, senza gesti plateali, ma discretamente e lucidamente come  aveva vissuto, accettando l’ineluttabile con fortezza di animo, dandoci così  anche nel momento estremo della sua scomparsa la sua ultima lezione di vita.  Ricordi, rimpianti e qualche rimorso si mescolano ancora nel ricordo di questo  caro amico scomparso nel vigore delle sue capacità intellettive e  professionali. Una figura tanto più attuale, in quanto la ricordiamo nell’imminenza  del rinnovo della carica di sindaco della città.Ricordi, tanti. Le prime battaglie insieme,  l’incontro con i giovani amici del “gruppo di impegno politico De Gasperi”, la  filosofia della partecipazione democratica e propositiva, in un sessantotto dominato  da contrasti esasperati, finalizzati all’abbattimento del sistema.
 Le prime assunzioni di responsabilità.  Nicola Larosa consigliere comunale, Ugo Villani nella Direzione del Partito,  Ruggiero Dimiccoli presidente dell’A.A.S.T., e altri amici in altri organismi  con l’intento di portare un contributo di proposta e di trasparenza. Battaglie  ideologiche ma anche politiche. Battaglie condotte insieme, qualche volta  vinte, qualche altra perse, ma sempre in perfetta sintonia fra di noi. La  segreteria del Partito, il Sindacato (noi ne avemmo parte nel suo secondo  mandato), la sfortunata campagna senatoriale persa per meno di mille  preferenze.
 Peppino non faceva organigrammi, almeno nel  senso tradizionale del termine, però possedeva un intuito infallibile nel giudicare  gli uomini; ma lo faceva con sobrietà e distacco, con razionale lucidità,  apprezzando particolarmente quelli di buona volontà e sinceri propositi, aldilà  dei meriti culturali o dell’estrazione sociale, ma finalizzando le scelte ai  ruoli per meriti oggettivi e non tesseramentari.
 Peppino non amava la quantità ma  prediligeva la qualità. Un esempio per tutti. Non aveva tessere di suo, i  cosiddetti pacchetti, di cui disprezzava intimamente gli eccessi, le non  infrequenti strumentalizzazioni, ma sapeva al momento opportuno orientare per  il meglio quelle degli altri. In questo senso, nel senso cioè della capacità di  guida di un partito, era un vero “leader”.
 Del leader aveva il carisma, l’equilibrio,  la capacità di giudizio delle situazioni le più complesse, vuoi che fossero  umane, politiche, amministrative o professionali, cogliendo del problema sempre  l’essenza, andando subito al nucleo, trascurando i dettagli.
 Per questo non aveva, e non poteva avere  capi sopra di lui, né dentro né fuori Barletta. Ci fu un periodo in cui non  condivise neppure le scelte di Moro (quando le giudicò troppo sinistrorse) e  neppure quelle del suo capocorrente (quando certe scelte erano dettate più da  opportunità verticistiche che non da giudizi ispirati dalla sola coerenza ideologica).
 Anche per questo non fece molta strada  fuori dalle mura cittadine, perché non piegò mai la schiena a compromessi o  condizionamenti. Non amava le piccole furbizie, il piccolo cabotaggio; i  meschini calcoli di potere, e se dalla mallevadoria di un potente dipendeva il  mantenimento di una posizione di potere, non ne teneva alcun conto, preferendo  restare senza incarico, ma sempre libero nel suo giudizio. Non per questo ne  menava vanto, tanto quest’atteggiamento gli era naturale.
 Non era però intollerante, e quando ne  aveva la possibilità favori ne elargiva anche lui, ma più come adempimenti di  diritti, e in ogni caso senza mai farli pesare, senza mai contrattarli per un  voto, soprattutto quando l’interessamento era gratificante per gli umili, per la  gente più bisognosa nei cui panni tendeva ad immedesimarsi.
 Lui stesso però non era umile nel senso  tradizionale del termine, ma anzi orgogliosissimo del primato intellettuale e  morale che sapeva di possedere e di esercitare sul Partito e sui suoi iscritti  amici e simpatizzanti. Semmai era semplice nei modi soprattutto nel contatto  con la gente modesta con la quale professionalmente era parco nelle richieste  parcellari fino ad una non infrequente gratuità delle sue prestazioni  professionali.
 Cristiano, ma non bigotto, possedeva  naturale questa dote della comprensione umana sempre pronta, accessibile ma  soprattutto disinteressata, perché non funzionale ai consensi elettorali,  tant’è vero che quando fu costretto a bere l’amaro calice dell’insuccesso, non  ne diede colpa agli elettori, ma razionalmente seppe da sé fare una diagnosi  pacata e lucida di quel risultato.
 Eppure quest’uomo così carico di umanità e  di capacità professionali e politiche, quest’uomo che non si era sposato perché  interamente assorbito dalla politica, l’unica vera grande passione della sua  vita, negli ultimi tempi aveva finito col restar solo. Abbandonato dagli  elettori, che nell’ultima tornata elettorale non gli avevano confermato il  mandato e dimenticato anche dai suoi stessi amici di un tempo. Perché di virtù  alla fine si può anche morire. E Peppino, prima di morire ai vivi, lo era già  da tempo politicamente.
 Lo aveva isolato il suo massimalismo  morale, la sua esigenza di chiarezza, il suo rifiuto di qualsiasi compromesso.  E invece in politica è necessario destreggiarsi, aspettare tempi migliori,  mascherare l’indignazione e tradurla in paziente attesa.
 Oggi che non c’è più, la tentazione della  retorica è facile, quanto quella di una frettolosa celebrazione di circostanza  per archiviare il personaggio. Ma il rimpianto è sincero in tutti. Il tempo ci  ha restituito un grande personaggio della nostra vita politica e sociale  contemporanea, una vita intera spesa al servizio della Città. Il pericolo è che  a celebrare il personaggio, si finisca col deporlo nella teca dei ricordi, a  scapito della umanità dell’uomo, della sua ricchezza interiore, del suo ricco  patrimonio di fede e di speranza in un modo migliore di essere e di fare  politica che ha cercato di trasmetterci con la linearità della sua condotta. Ci  sia riuscito o meno, questo dipenderà anche da noi. In questo noi siamo  chiamati ad essere meri testimoni di un’esistenza, oppure trasmettitori di un  messaggio. Certo dipenderà anche da noi dare alla sua vita il significato di un  esempio, oppure lasciarlo negli angusti limiti di una vicenda umana, esemplare  ma pur sempre circoscritta nei giorni della sua esistenza.
 Aldilà delle facili celebrazioni di circostanza, senza enfasi ma con  asciutta stringatezza, possiamo dire che Peppino Palmitessa lascia un messaggio  di onestà e di rettitudine, di intelligenza e di sobrietà. Non sappiamo quanti  lo raccoglieranno, quanti si ricorderanno del suo insegnamento di vita, ma fin  tanto che avremo memoria, per chi conserverà ancora un barlume di coscienza, basterà  il suo solo ricordo per orientare un comportamento.
 Renato Russo(21 gennaio 2018)
 
            
    
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      | Peppino Palmitessa | 1955.  Isidoro Alvisi con alcuni amici di partito: da sinistra Antonio Ormas, Pasquale  Maresca, Giuseppe Palmitessa, Claudio Santaniello, Nicola Lacalamita, Ernesto  Ferrazzano, Giandonato Napoletano (coll. Gino Palmitessa) |  
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      | 14 luglio 1956. Chalet “Casina Lido”, poche ore dopo la  caduta della giunta Paparella e la nascita della nuova giunta Palmitessa. Il  vecchio col nuovo sindaco, fanno gli onori di casa a Nilla Pizzi, “la regina  della canzone italiana” | Ottobre 1958. Sala Consiliare della Biblioteca Comunale. Il ministro Aldo Moro  porge il suo saluto alla città. Alla sua sinistra il sindaco Palmitessa |  
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      | 8 febbraio 1959. Inaugurazione del ponte di Barbarisco. Tra le personalità  presenti spicca quella dell’on. Pio Petrilli, grande fautore dell’iniziativa. (coll. A. Bernardini) | Settembre 1959. Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, accompagnato  dal sindaco Palmitessa, dall’on. Monterisi e dal prof. Lattanzio, rende omaggio  alle vittime del crollo di via Canosa |  
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      | 1960. L’arcivescovo mons. Reginaldo Addazi e il sindaco della città, l’avv.  Giuseppe Palmitessa | Aprile 1962. Posa della prima pietra per il nuovo Palazzo di Città |  
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      | 1975. Il sindaco Giuseppe Palmitessa presta giuramento | 1958. Aldo  Moro tra il presidente della Pro Loco avv. Cristoforo e la dott.ssa Fernanda  Bertocchi, direttrice degli scavi. Palmitessa è il primo a sinistra |  << vai all'indice del canale  |