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 Questa cultura non ci  porterà lontano 
            se non cambierà il nostro  atteggiamento mentale           Vorremmo  aprire un dibattito sulla cultura, se ci è consentito, reduci come siamo da un  tempo dominato da un preconcetto verticismo decisionale. Prima però di  addentrarci nel merito della problematica, partiremo da una premessa etica con risvolti pragmatici, e cioè ogni  riflessione sul tema, ogni suggerimento è ispirato da intenti propositivi  nonché da apprezzamento per i lodevoli tentativi che l’attuale dirigenza sta attuando  per la rinascita culturale della città, a cominciare dalla eccellente  organizzazione della recente rivisitazione delle giornate dedicate alla Disfida  di Barletta e dal successo della Penisola del Tesoro che ha visto la città meta  esclusiva d’incontro in Puglia dei soci del Touring Club. Non c’è bisogno di  scomodare Montaigne, per rammentare che non si migliora solo con apprezzamenti  encomiastici e gratificatori, ma molto di più facendo tesoro di argomentati  giudizi critici. Entrando ora  nel merito del discorso, ritengo doveroso preliminarmente ricordare come la  coercitiva presenza di una consulente barese sulla città, per quindici anni,  sotto i mandati dei sindaci Salerno e Maffei, abbia provocato delle scelte  largamente contestate che a parer mio - e non solo - ci hanno fatto perdere tre  lustri di crescita culturale e disperdere una enorme quantità di risorse  economiche. Senza contare il danno venuto dalla emarginazione di alcune fra le  più vigorose risorse intellettuali di Barletta, esiliate dalla vita culturale  cittadina: penso al completo disinteresse - se non all’aperta avversione -  verso collaudate esperienze come quelle di Giuseppe Savasta, di Francesco  Lotoro e Luigi Di Cuonzo, i quali hanno realizzato, in questi ultimi anni,  attività che recano notevole prestigio alla città: Savasta ha dedicato quarant’anni della sua vita alla ricerca di antiche testimonianze  da consegnare alla storia della nostra cultura preistorica, documenti di  pietra, incunaboli del nostro millenario passato, reperti senza tempo che hanno  scritto sulla sabbia le prime pagine della nostra storia e l’alba della nostra  più remota civiltà; Lotoro è un  appassionato studioso di musica prodotta nei campi di concentramento e  fondatore dell’Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria che non solo  ha meritato un’audizione in un’aula parlamentare, ma è stimato in tutto il  mondo, le cui principali testate ne hanno esaltato la ricerca con interi  paginoni; e quanto a Di Cuonzo, è  autore di notevoli iniziative e di studi monografici di alto profilo,  programmando in solitudine le attività dell’Archivio della Resistenza e della  Memoria che hanno dato e continuano a dare visibilità nazionale alle nostre  tragiche giornate del settembre del ’43. Per non dir d’altri. Per esempio, di  quel Vittorio Palumbieri, direttore per  trent’anni dell’A.A.S.T. di Barletta, sistematicamente ignorato e poi chiamato  a Bari a dirigerne - da pensionato - l’APT; o della stessa Giusy Caroppo,  autrice di progetti di arte contemporanea e valorizzazione del territorio  apprezzati in Italia e all’estero, emarginata con supponenza per anni nella sua  stessa città.
 Ora è tempo di  reagire e di riprogrammare, ma il discorso è lungo e meriterebbe uno specifico  approfondimento, perché si ha come la percezione che il nuovo tardi a  palesarsi. Eppure nella cabina di regia è tornata - invero da pochissimo tempo  - la dott.ssa Santa Scommegna tenace oppositrice di tante di quelle discutibili  scelte verticistiche del più recente passato, e come assessore alla cultura  quella Giusy Caroppo storico dell’arte e apprezzata curatrice di eccellenti  mostre d’arte, due individualità di spiccata personalità e di comprovata  esperienza.
 Io credo sia  anche conseguenza di un atteggiamento mentale che la nostra classe politica in  generale ha ereditato da un passato neppure tanto remoto (la Scommegna ha  rivestito la carica di vicesindaco sotto l’amministrazione Dimiccoli). Intanto  la scarsa considerazione delle altrui valutazioni, ma soprattutto la  perseverante preclusione verso qualsiasi apertura innovativa. Ci si obietta che  mancherebbero le risorse. Vivaddio, ma è proprio per questo che noi guardiamo -  per esempio - a Canne e agli esperimenti che in controtendenza col nostro  atteggiamento rinunciatario, sono stati invece fatti in alcune città. L’abbiamo  detto e ripetuto più volte. A Trieste hanno realizzato una mostra sulla famosa  battaglia con un investimento di poche migliaia di euro, per ricavarne cospicui  ritorni e l’accesso di 20.000 turisti in due mesi. La Rotta dei Fenici (altra  bella opportunità) era un percorso annibalico che attraversava l’Italia e che  avrebbe dovuto includere Barletta come tappa privilegiata. Una ghiotta  occasione di ritorno turistico inserito in un circuito culturale nazionale.  Un’altra occasione perduta.
 Senza  responsabilizzare chi da pochissimo tempo gestisce il nostro comparto  culturale, è indiscutibile che del famoso sito della battaglia i nostri passati  amministratori se ne siano sempre disinteressati al punto da tollerare che per  anni, la grande sala annibalica dell’Antiquarium, inaugurata dall’on. Moro nel  1958, venisse occupata da una mostra… di gatti, suscitando la vibrata  indignazione dei turisti. Per questa, come per numerose altre occasioni  perdute, per il momento non ci pare sia cambiato nulla. O forse è la delusione  dei troppi anni trascorsi invano, a tradire la nostra impazienza nel timore  della deludente attesa di un improbabile ripensamento?
 Quel  dente di cinghiale a Schorndorf Ricorre in  questi giorni la scomparsa del prof. Raffaele Iorio che in uno dei suoi ultimi  articoli per la rivista “Baruli Res”, ricordando la fruttuosa esposizione di un  dente di cinghiale preistorico nel piccolo museo di Schorndorf, in Germania,  ebbe invece a lamentarsi del nostro disinteresse per Canne: “Perdio - esclamò -  i nostri amministratori stanno seduti su una miniera d’oro e non lo sanno!”  Perché questo è il nodo del discorso: che mentre gli altri comuni sono scarsi  d’eventi e se li debbono inventare, noi li abbiamo già, sono numerosi e di alto  profilo storico, con evidenti possibilità di fruizione turistica, mentre  continuiamo a ignorarli!Ultima  chiamata per Canne? Mi auguro proprio di no. Suggerirei allora agli attuali  dirigenti alla cultura di mettere per un momento da parte le scartoffie  burocratiche per recarsi sulla collina, respirare l’aria di un tempo millenario  e farsi lambire dalla grandiosità scenografica della battaglia. Ancorché le sue  emergenze vivibili si sono dileguate fra le nebbie di un remoto passato, la  suggestione del famoso scontro è presente ovunque, a Canne, e il suo  immaginifico scenario è restato inalterato nei suoi elementi essenziali: il  fiume, la piana del combattimento, l’accecante riverbero del sole sulla vasta  pianura nelle giornate di agosto, la rocca della cittadella, le colline  circostanti e le sottostanti vallette teatro dell’inaudito massacro. E lì  cercare di immaginare con fervida fantasia le possibili fruizioni con spirito  scevro dai condizionamenti omissivi del passato, per non reiterare le stesse  colpevoli dimenticanze.
 Mi auguro che gli  addetti ai lavori leggano queste note con spirito costruttivo, com’è nei nostri  intenti, e non pensino a male, supponendo chi sa quali reconditi interessi ci  spingano a queste perplesse eppure propositive riflessioni. Sarebbe il modo  peggiore di riapprocciarsi al problema per tentare un auspicabile sia pur  tardivo confronto. Se la risposta fosse preconcetta e tendenziosa o, peggio  ancora, murata da un inesplicabile persistente silenzio, allora molleremmo -  come tanti altri - anche noi la cima e gli ormeggi per lasciare andare la barca  alla deriva.
  Renato Russo(21 febbraio 2014)
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