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 La vera storia della Disfida più avvincente del  romanzo “…degni che ogni italiano procuri quanto è in sé che i loro  nomi trapassino alla posterità mediante l’istrumento delle lettere” 
 Francesco Guicciardini
 Il ricordo più remoto che conserviamo della Disfida di Barletta, è legato  al famoso romanzo storico di Massimo d’Azeglio, fortemente idealizzato e per  giunta arricchito da un gran numero di situazioni inventate, come il  personaggio femminile di Ginevra oppure il disperato suicidio del nostro eroe,  precipitatosi dall’alto di una rupe sul Gargano (in realtà morì a Valladolid,  in Spagna, in attesa - pare - di essere ricevuto dal sovrano). E di solito,  ancora oggi, l’idea che ci si fa di quello storico evento è legata in qualche  modo alla lettura di quel libro, come nella narrazione dell’evento ricostruita  nel noto film di Alessandro Blasetti interpretato da Gino Cervi nei panni di  Ettore Fieramosca e Osvaldo Valenti in quelli di Guy de la Motte. Col  passare degli anni altre letture ci hanno avvicinato allo stesso episodio,  molte celebrative, poche invece scritte coll’intento di offrire  dell’avvenimento un’attendibile ricostruzione storica, sfrondata di quelle  enfatizzate idealità con le quali il d’Azeglio aveva inteso ricostruire  quel fatto d’armi in chiave evocativa risorgimentale. E ai suoi tempi l’intento  fu raggiunto, se del romanzo se ne stamparono cento edizioni in pochi anni. Ma  oggi, a distanza di quasi due secoli, è venuto il momento di tenere distinte la  narrazione agiografica di quell’evento, dalla sua reale storica ricostruzione.
 Montanelli nella sua Storia  d’Italia, e più recentemente Giuliano Procacci, affermano che “la Disfida avrebbe  fornito il pretesto a tanta retorica”. Sarà senz’altro vero, e anzi,  proprio perché il giudizio è plausibile, è giunto il momento di fare chiarezza,  di evitare gli eccessi celebrativi e di ristabilire la verità dei fatti così  come si sono svolti, perché riteniamo che un danno all’immagine della Disfida  possa venire proprio dalla eccessiva enfatizzazione che dell’episodio s’è  voluto dare, mentre la vera storia della Disfida è più avvincente del romanzo.
 In realtà  secondo Montanelli la sfida fu  accettata dai cavalieri italiani non per difendere l’onore dell’Italia, ma più  prosaicamente per mantenere alto il valore della propria professionalità di  soldati al soldo dello straniero, tant’è vero che anche a quella contesa si era  accompagnata la scommessa di cento corone per chi l’avesse vinta e la consegna  del proprio destriero all’avversario.
 Epilogo  di una sbronza collettiva o nobile contesa d’armi? Ma come  spesso accade la verità sta nel mezzo. Se è vero infatti che i cavalieri si  sono sfidati per mantenere alta la loro reputazione di uomini d’arme, non è  meno vero che tutte le vicende che precedettero e accompagnarono quella disfida furono  arricchite da episodi che confermano come a un certo momento si dovette fare  strada, nel cuore e nell’animo dei tredici cavalieri, che essi - nella  diversità delle province dalle quali provenivano - finivano pur sempre col  rappresentare l’Italia. E questo lo si deduce chiaramente dai documenti  inconfutabili del tempo, non solo dalle lettere che si scambiarono Fieramosca e La Motte dove traspare molto  chiaramente, dalle parole del nostro capitano, un sincero anelito di  italianità, ma anche dai commenti che dell’episodio fanno personaggi al di  sopra di ogni sospetto, come il grande capitano Consalvo da Cordova nella cronaca  inviata al suo Sovrano, oppure lo storico Francesco Guicciardini, in alcune  indimenticabili pagine della sua famosa Storia d’Italia.
 Per  evitare ogni eccesso celebrativo, sarà pertanto d’uopo riprendere l’episodio  nella sua storicità: né approfondito nella sua circoscritta specificità di mero  fatto d’armi, riguardato riduttivamente, come il banale epilogo di una sbronza  collettiva consumata in una sordida cantina; né ammantato di nobili enfatizzati  significati, come quando lo si vuole ricondurre ad ogni costo  all’insopprimibile anelito di libertà di una patria divisa ed oppressa.
 Nulla di  tutto questo. Fu certo però una sfida diversa  dalle altre. Intanto - almeno inizialmente - rispondeva ad una esigenza  strategica locale avvertita dagli Spagnoli, ch’era quella di rafforzare i  legami coi cittadini barlettani che una opprimente occupazione aveva  compromesso a favore degli assedianti francesi.
 Ma una  volta messo in moto, il meccanismo della disfidaassunse i  connotati di una vera e propria “sfida italica”, e gli  stessi cavalieri, ch’erano partiti ingagliarditi dalla sola posta in palio, al  di là delle loro modeste intenzioni, via via si fecero coinvolgere in una  disputa che finì coll’innalzarli - loro malgrado - a campioni  italiani.
 Che poi  col passare degli anni, e anzi, dei secoli, in una visione retrospettiva degli  avvenimenti, a questo fatto d’arme si sia finito coll’attribuire il significato  del primo episodio storico di un sentimento di italianità, ci pare abbastanza  plausibile.
 Lo scenario storico nel quale si svolse la Disfida di  BarlettaMa forse esiste un punto di sutura, ed è l’acuta osservazione del Gregorovius, in una nota tratta dalle sue “Corrispondenze dall’Italia”, in occasione di una sua visita al campo della sfida. Commenta il noto  storico tedesco: “senza  dubbio questo campo di battaglia di uomini valorosi ove non combatterono che  ventisei guerrieri in tutto, merita di essere calpestato con un sentimento di  più viva emotiva partecipazione che non cento altri campi di battaglia, sia  pure più cruenti, ove vennero al cozzo e versarono il proprio sangue interi  eserciti per il capriccio di poche teste coronate o per le insaziabili brame di  ingordi conquistatori”.Nella ricostruzione della storica Disfida, sarà d’uopo  innanzitutto attenerci ai fatti, semmai cercando di inquadrarli in un più ampio  contesto storico, perché questo specifico episodio è incorniciabile in uno  scenario di più ampie proporzioni, qual è quello della contesa franco-ispanica  che fa da sfondo al mitico avvenimento.
 Nell’arco  del primo trentennio del XVI secolo, furono infatti combattute in Italia  quattro guerre, tutte incentrate sul conflitto fra Francesi e Spagnoli. Ebbene  la prima, che si svolse nel nostro Mezzogiorno d’Italia (in Puglia e in  Campania), ebbe come epicentro proprio Barletta e le altre città che vi  facevano corona.
 L’epoca della Disfida,dunque su  questo palcoscenico, si presenta come un gigantesco caleidoscopio, un episodio  attorno al quale si creano e si disfano cento altri piccoli e grandi  avvenimenti che rifluiscono nel mare della Storia, come un punto di  osservazione ideale dal quale scrutare gli avvenimenti italiani, i contrasti  fra le Signorie del tempo, la grande e sanguinosa guerra scoppiata tra Francia  e Spagna e consumata sulla nostra terra, a spese delle nostre genti e delle  nostre contrade soprattutto per ragioni economiche. Non bisogna infatti  dimenticare che nel porto di Barletta, al tempo “caput  regionis” ed uno dei più trafficati approdi del Mediterraneo,  confluivano in quegli anni di occupazione straniera formidabili interessi che  contribuiranno, nella loro evoluzione, a determinare la stessa storia d’Italia.
 Quanto ai  suoi protagonisti, la vissero - a Barletta e dintorni  - personaggi che ritroveremo negli anni immediatamente successivi, fra i più  rappresentativi del loro tempo. Come Consalvo da Cordova, fra i  più grandi capitani del Cinquecento, i fratelli Prospero e Fabrizio Colonna nonché Bartolomeo d’Alviano, tutti  celebri condottieri, e sul fronte francese lo sfortunato duca di Nemours, il  generale d’Aubigni e il  celebre Baiardo, il  famoso cavaliere senza macchia e senza paura. Per non  parlare dei reali di Spagna e di Francia che a Blois, qualche giorno prima di  Cerignola, avevano deciso di soprassedere alle operazioni militari. Consalvo, ricevuto quell’ordine, non  ne tenne gran conto, e forse la storia, per la città di Barletta, per  quell’ordine disatteso, cambiò radicalmente, come suppone il Loffredo. Ma cambiò in peggio.
 Anche  questa è la storia della Disfida, nel cono di luce della grande  storia che conta.
 Lo sforzo  di una ricostruzione parallela fra questi avvenimenti tanto diversi fra di loro  (la disfida e la guerra trentennale) è già nella ricostruzione cronologica  comparata degli avvenimenti: i fatti legati alla Disfida, con quelli d’armi  vere, collegati ad una lunga guerra che fra poco conterà migliaia di morti sui  campi di battaglia di mezza Italia. Per Barletta si concluderà con la devastazione  e la distruzione di due quartieri della città nell’estate del 1528.
  Renato Russo(febbraio 2014)
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