|   I 170 anni della nascita di Giuseppe De NittisDalla triste infanzia di Barletta - passando per  Napoli -
            ai fasti della Parigi della Bella Epoque
 Ricordare De Nittis a 170 anni dalla  nascita - 25 febbraio 1846 - attraverso la riscoperta della sua casa natale su  via della Cordoneria (oggi corso  Vittorio Emanuele, 23) contrassegnata da una lapide commemorativa, a metà  strada fra il decadente teatro ferdinandeo e la chiesa del Santo Sepolcro, una  data che fa riaffiorare alla memoria l’infanzia dell’artista. Quarto figlio di  Raffaele De Nittis e Teresa Barracchia, Giuseppe (familiarmente Peppino), visse  un’infanzia infelice. A due anni perse il fratellino più grande, Francesco, e a  tre anni - distrutta dal dolore per la perdita del bimbo, ma anche per la carcerazione  del marito – mamma Teresa morì di crepacuore senza lasciare nella memoria del  fanciullo il ricordo del suo volto, come racconta nelle sue note  autobiografiche, dove ci tramanda l’immagine di un piccolo orfano introverso,  morbosamente bisognoso di affetto materno. E neanche il ritorno del padre  riuscì a colmare quel vuoto affettivo perché, mentalmente disturbato, poco dopo  la scarcerazione, si tolse la vita, lasciando i ragazzi alle cure dei nonni  paterni, Vincenzo De Nittis (direttore delle Saline di Margherita di Savoia) e  Francesca Gusman.Da casa a scuola il tratto era breve, poche  centinaia di metri, al secondo piano di palazzo Affaitati, in fondo a via  Nazareth, dove Peppino aveva un ottimo insegnante, don Nicola Straniero, sacerdote  colto e di idee liberali. Ma il ragazzino in classe era abulico e svogliato,  mentre si trasformava appena s’inoltrava nelle circostanti campagne dove, a  contatto con la natura, riusciva a trasferire sulla carta le sue intuizioni  artistiche dipingendo il variegato paesaggio: la campagna ubertosa di fiori e  piante, gli animali al pascolo, il lento fluire dell’Ofanto, le sovrastanti  nubi, già da allora dotato - ancora inconsapevolmente - di una acutezza  percettiva dello spazio e di una sensibilità cromatica nel rapporto  luce-colore. La precoce predisposizione del nipote per la pittura, indusse il  nonno a mandarlo a doposcuola dal maestro Giovan Battista Calò, insegnante dei  più apprezzati pittori barlettani dell’epoca. Da quel periodo di apprendistato,  Peppino resterà in qualche modo influenzato, ma ancora maggiore resterà in lui  l’affetto verso quel giovane maestro che lo aveva incoraggiato nei primi passi  del suo percorso artistico.
 La qualità dei disegni che dipingeva  compensava la bravura delle belle pagine scritte dal primo della classe, dal  suo compagno di banco Carlo Cafiero, figlio di don Ferdinando, che abitava  sulla stessa strada, poco più oltre casa De Nittis, dove il palazzo è ancora  oggi riconoscibile da un bassorilievo murato sulla facciata dell’edificio negli  anni della maturità. Non è difficile immaginare i due piccoli “peripatetici”,  nel breve tratto che univa le due abitazioni, raccontarsi i fatti del giorno, e  chissà, forse cominciare a pensare al proprio futuro, così glorioso eppure  tanto sfortunato per entrambi.
 *   *   * Intermezzo  napoletano: 1860-1867. Mentre a Barletta, ai primi di settembre del 1860,  veniva inaugurato il “Gabinetto di Lettura” a palazzo Gentile (oggi sede del  Banco di Napoli), i tre fratelli De Nittis - Vicenzo, Carlo e Giuseppe -  emigravano a Napoli. Frattanto in quei frangenti s’andava costituendo il  Comitato insurrezionale della città (ne faceva parte anche il suo maestro don Nicola  Straniero), e ci si preparava per il referendum istituzionale per Vittorio  Emanuele II, su piazza Paniere del Sabato (da allora Piazza Plebiscito). E non è escluso che al loro arrivo, a Napoli,  nei pressi della stazione, i fratelli De Nittis non siano restati coinvolti  nella folla acclamante l’arrivo in città del generale Giuseppe Garibaldi…Ma di tutti questi avvenimenti, sullo sfondo della imminente  unificazione dell’Italia, non ci è giunta l’eco dal suo Taccuino, tutto proteso com’era, il nostro giovane aspirante pittore,  a frequentare l’Istituto di Belle Arti di Napoli, dove però ci resterà poco,  attratto dal richiamo della campagna dove lo sorprendiamo a vagare fra i campi  a dipingere paesaggi della natura, fino al calar del sole, sullo sfondo del  Vesuvio, alla ricerca dell’ispirazione “dal vero”. E qui fondare, con gli amici  della prim’ora - Marco De Gregorio e Federico Rossano - la “Scuola di Portici”  in palese contrasto con la didattica partenopea di Mancinelli e Smargiassi, Morelli  e Palizzi, cioè una scuola tutta loro, modellata su misura delle proprie  aspirazioni, lontana dagli accademismi di maniera.
 Nel 1864 la prima esposizione pubblica di  un suo lavoro, “L’avvicinarsi del temporale” alla Terza Promotrice Napoletana,  che non sfuggì all’occhio esperto dello scultore fiorentino Adriano Cecioni che  lo considerò il miglior pezzo della rassegna.
 Immerso nel verde della natura, divorato  dall’ansia della pittura e dell’ispirazione artistica, non tanto però Peppino  era distratto da non trovare il tempo di un fugace invaghimento per la bella  cognata del padrone di casa - il duca Cirelli - che lo aveva ospitato per  qualche tempo in casa sua.
 *   *   * 1867,  l’inizio della grande avventura parigina. In primavera, mentre a Barletta  s’insediava la giunta Scelza-Vista, promotrice di una grande stagione di  rilancio culturale, il nostro maggiore artista spiccava il volo per Parigi dove,  nei diciassette anni che gli restavano da vivere, avrebbe vissuto una straordinaria  esperienza artistica. Da Corso Vittorio Emanuele a rue de l’Imperatrice (la casa degli incontri del sabato sera coi maggiori  protagonisti della stagione artistica parigina). E qui, però, a Parigi, dove la  vita costava e De Nittis, da buon barlettano, con senso pratico, non accettava  di menare vita grama come tanti artisti suoi colleghi parigini, realizzò una  tecnica mista che alternasse le redditizie aspettative del suo mercante d’arte  Goupil, con la sua antica vocazione paesaggistica en plein air. E a conciliarne la vena ispirativa, i suoi ritorni a  Barletta nel ’68, nel ’70 e nel ’73, memorabile quello del ’79 quando fu  accolto trionfalmente in una indimenticabile serata al Teatro Curci, reduce dal  clamoroso successo alla Esposizione Universale di Parigi e dall’essere stato  gratificato del Cavalierato della Legion d’Onore, la massima onorificenza dello  Stato francese.Se in Francia, divenuto il pittore alla  moda del bel mondo parigino, dipinse inconfondibili paesaggi metropolitani, nei  suoi ritorni a Barletta e specialmente nelle campagne circostanti, De Nittis  ritrovava le spinte ispirative di un tempo: le rustiche sbiadite casupole animate  dagli armenti del contado, gli infioriti mandorli primaverili, i lunghi filari  dei vigneti, il lento scorrere del limpido Ofanto che orlava la ripa fluviale.  E i luminosi colori della pianura ofantina: l’ocra dei viottoli di campagna, il  giallo dei covoni, il verde della fitta boscaglia penetrata dai raggi del sole,  l’azzurro del mare oltre la bianca spiaggia di Pantaniello.
 Divenne in breve l’artista più pagato di  Parigi e nella fitta galleria della sua straordinaria produzione, spiccano i  suoi inconfondibili ritratti muliebri, dei quali De Nittis delineava, con  leggere pennellate, gli eleganti contorni dei suoi ritratti: le pieghe di una jaquette, il sofisticato panneggio di  un’elegante zimarra, l’ingombrante risvolto di un cappellino all’ultima moda o  un grazioso ombrellino, fisionomie femminili fortemente caratterizzate non solo  nella loro espressione ma anche dalla incisiva connotazione del loro abbigliamento,  su fondi in chiaroscuro giocati su effetti di luce appena attenuati da ombre  maculate.
 Figure che oggi i suoi concittadini, nella  loro amabilità, espongono ad una piacevole rilettura a 170 anni dalla sua nascita,  restituendo, per un giorno almeno, luci e colori e la nostalgia di un tempo  antico alla casa della sua infanzia.
 Renato  Russo(25 febbraio 2016)
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