|   Un anno senza Reichlin
            il profeta inascoltato           A distanza di un anno dalla sua scomparsa, Alfredo Reichlin viene  ricordato domani mercoledì 21 marzo dalla sua città natale con due  manifestazioni: l’intitolazione del viale pedonale interno nell’area dell’ex  Distilleria ed un incontro pomeridiano presso la Sala Rossa del Castello. Con  efficace sintesi il sindaco Pasquale Cascella, nell’introdurre l’invito alla  partecipazione ai due eventi, ha delineato la figura di Alfredo Reichlin,  “prestigiosa figura della sinistra con un forte ancoraggio nei valori della  Costituzione nata dalla Resistenza al nazifascismo per avervi partecipato in  giovanissima età a Roma, per poi intraprendere un percorso politico lungo il  quale non ha mai mancato di coltivare le radici meridionali e la visione  dell’Italia unita come nazione nella nuova dimensione europea”.           *    *   * Alla luce dei recenti risultati elettorali, qualsiasi disamina, all’interno  del PD, per chi ha buona memoria, non può che partire dalla lucida previsione  di Alfredo Reichlin quando, nel pieno della bagarre dialettica fra le opposte correnti, a pochi giorni dalla sua scomparsa, scrisse  il suo ultimo articolo per l’“Unità” mettendo in guardia i suoi compagni da  quelle sterili dannose polemiche che avrebbero finito con l’allontanare  irrimediabilmente il proprio elettorato. Che cosa potrebbe dire oggi Reichlin,  profeta inascoltato, se fosse fra di noi, dopo gli avvilenti risultati  elettorali che hanno emarginato il PD, dando una schiacciante maggioranza ai partiti  populisti?“Eppure ve l’avevo detto, vi avevo ammonito che bisognava trovare le  ragioni che ci uniscono anziché quelle che ci dividono, preferendo la sostanza  dei problemi alla dannosità dei contrasti. Tanto più che, alla luce degli esiti  incoraggianti della ripresa economica, il governo si presentava al corpo  elettorale con un consuntivo interlocutorio denso di una lenta ma costante  crescita del PIL e in generale della   nostra economia. Su questa strada propositiva il partito avrebbe dovuto perseverare,  spiegando le ragioni della ripresa e contestare quella della impraticabilità di  avventurose, illusorie strade alternative. Questa avrebbe dovuto essere la  strategia della comunicazione, con qualche concessione della maggioranza alla  minoranza, nel fruttuoso contesto di un patto di non belligeranza. Mentre il  messaggio del partito al proprio elettorato imboccò la distruttiva strada dei  risentimenti personali, delle dannose incomprensioni, delle dispettose ripicche,  offrendo lo spettacolo di una rovinosa attività autodistruttiva. Ed essendo  questo l’avvilente scenario offerto al Paese - avrebbe argomentato Reichlin, se  fosse stato fra di noi - a consuntivo dell’esito elettorale, non c’è da  meravigliarsi se oggi raccogliamo l’inverno del generalizzato scontento di un  elettorato, del “nostro” elettorato che, deluso, ha preferito riversare le sue  preferenze sulle lusinghevoli, illusorie promesse di seducenti rabdomanti ai  quali abbiamo lasciato lo spazio per un ampio accaparramento di consensi.”
 Reichlin, con grande pacata lucidità, esattamente un anno fa, aveva messo  sull’avviso i suoi amici e compagni, soprattutto nel suo ultimo articolo  sull’“Unità” del 14 marzo, a pochi giorni dalla sua scomparsa, quando aveva  preconizzato il rischio  che - perso il  contatto col popolo - il partito correva il rischio di naufragare, una silloge  del suo pensiero politico, denso - come era nel suo habitus giornalistico - di pregnanti valutazioni di ampio respiro,  accompagnati da un accorato appello, non astratto, anzi estremamente pratico e  concreto.
 Rivolgendosi ai suoi compagni, ebbe infatti a dire testualmente: “Non ci  sono più rendite di posizione da sfruttare in una politica così screditata la  quale si rivela impotente quando deve affrontare non i giochi di potere ma la  cruda realtà delle ingiustizie sociali, quando deve garantire diritti, quando  deve vigilare sul mercato affinché non prevalga la legge del più forte. Stiamo  spazzando via una intera generazione”. E i compagni di partito, a cui era  rivolto il suo ultimo, accorato invito, che hanno fatto invece? Dietro le  apparenze di ragioni culturali, si sono attardati in  superflue rivendicazioni pseudo ideologiche.
 “La sinistra anche se la sua crisi  rientra nel più generale declino della sinistra europea (…). Ma noi non  aggraviamola, dimenticando valori e punti di riferimento (…). Mi sento inadatto  - aggiungeva – ad esprimere previsioni, non ho mezzi né energie per evitare una  rovinosa ‘debacle’, le sole forze cui affidarsi sono le generazioni future”.  Già, ma alle quali che messaggio lasciamo?
 E paventando le prospettive di una imminente consultazione elettorale -  reduci dalla sonora sconfitta del quesito referendario del 4 dicembre - in  quell’articolo bacchettava il segretario, profetizzando,  su quella strada, una rovinosa caduta. “Non  sarà una logica oligarchica a salvare l’Italia. Dobbiamo lasciare al popolo la  parola decisiva, alla capacità di comprensione delle sue necessità, delle sue  aspettative. Questa è la riforma delle riforme che Renzi non sa fare, che non  vuol fare. Di questo passo, perseverando in questo dissennato scontro, la  sinistra rischia di restare sotto le macerie. Non possiamo consentirlo. Non si  stratta di un interesse di parte ma della tenuta del sistema democratico e  della possibilità che questo resti aperto, agibile dalle nuove generazioni. Quando  parlai del PD come di un ‘Partito della nazione’ intendevo proprio questo, ma  le mie parole sono state travisate: nel loro contrario: il ‘Partito della  nazione’ è diventato uno strumento per l’occupazione del potere, un ombrello  per trasformismi di ogni genere. Derubato del significato di ciò che dicevo, ho  preferito tacere”.
 E di fronte all’avvilente spettacolo di una pressocché quotidiana rissa  fra le diverse componenti del partito, di fronte ad un avvilito elettorato,  ammoniva il segretario Renzi che era invece necessario proporsi al corpo  elettorale - oltre la sinistra - con un’ampia prospettiva di soluzioni praticabili  per superare la crisi nelle sue molteplici articolazioni, tema ricorrente nel  bellissimo libro “Il midollo del leone, riflessioni sulla crisi della  politica”. Riflessioni e ammonimenti inascoltati dal gruppo dirigente.
 Ma ne aveva anche per la minoranza che, nel combattere sia pure per una  nobile battaglia, finalizzata al ripristino di antichi valori fondanti del  partito, al dialogo interno, preferiva la dannosa prospettiva della scissione.  Per cui, concludendo, precisava: “Sono convinto che questa cultura unitaria sia  ancora viva nel popolo del centrosinistra e mi pare che questi sentimenti non siano  negati dal percorso nuovo avviato da chi ha invece deciso di uscire dal PD.  Capisco che essi devono difendere le proprie ragioni che saranno pur nobili, ma  devono farlo con un intento ricostruttivo e in uno spirito inclusivo. Solo a  questa condizione i miei vecchi compagni avranno la mia solidarietà”.
 Gli uni e gli altri, invece, gli esponenti dei due opposti schieramenti,  durante il lungo percorso pre-elettorale, hanno riservato le loro maggiori  energie in una improduttiva contesa autolesionistica. Le populistiche, facili  promesse delle forze sovraniste, hanno fatto il resto, coltivando un terreno fertile  per risultati (resta un mistero di come riusciranno a dar corpo alle loro  mirabolanti promesse. Ma questo è un altro discorso). Quanto ai nostri  interlocutori, sconfitti e destabilizzati, gli uni e gli altri avranno, almeno  oggi, a consuntivo di questo disastro annunciato, il coraggio di ammettere i  loro tragici sbagli, facendone tesoro per il futuro? Perché su un punto non c’è  dubbio: non hanno vinto i partiti populisti, ma ha voluto perdere il partito  democratico.
 Oggi si tentano valutazioni delle ragioni della “debacle”; ma Democratici  e LeU, hanno, sia pure tardivamente, compreso ch’era tempo di costruire  insieme, sia pure nei distinguo, anziché demolire rovinosamente un grande  patrimonio, di valori politici e sociali? Per la cui salvaguardia, invano, in  quelle torride giornate, si sono spesi, sul solco tracciato da Reichlin, nomi  del calibro di Prodi e Veltroni.
 Il colmo sarebbe poi quello di continuare a sbagliare in questi giorni, anche  dopo i risultati elettorali, di continuare a dividersi sui distinguo, sui  risentimenti, fra incomprensioni e malintesi. Le prime avvisaglie del “dopo”,  le prime risse verbali di fronte ad un elettorato deluso e sconcertato, ma  ansioso di ripresa e di riscatto, non fanno intravedere nulla di buono, né a  livello nazionale, né a livello regionale e - ahimè - temo neppure a livello  locale.
 
 
            
              
                | Berlinguer  e Moroe  quella riforma mancata
 Nella contiguità con la ricorrenza del quarantennale del rapimento di  Moro e dell’eccidio della sua scorta, come non associare il nome di Reichlin a  quello di Berlinguer, di cui egli fu ascoltatissimo consigliere, negli anni in  cui dirigeva l’“Unità”, e di cui fu spesso anche discreto accompagnatore negli  incontri più delicati e riservati. Del rapporto Moro-Berlinguer ne parlo  diffusamente nella sua biografia, perché Reichlin ce ne fece partecipi, perché  aveva grande stima dello statista pugliese. Non mancò di parlarne diffusamente  anche quando, il 24 aprile 2014, fu ospite a Barletta presso Palazzo della  Marra, in occasione della presentazione di una biografia su Enrico Berlinguer.  Incontro che fu occasione per un pregnante ricordo dei due statisti, artefici  di quella splendida ancorché controversa stagione segnata dal tentativo di dar  vita alla riforma costituzionale della cui mancata attuazione forse oggi stiamo  pagando le conseguenze. Facendo una impietosa diagnosi della condizione  politica della nostra vita pubblica, Reichlin ricordava, con un misto di  nostalgia e di rimpianto, i tempi di Moro e Berlinguer, uomini di alta levatura  morale e politica. Essi - spiegò l’illustre oratore - sia pure da posizioni  diverse, arrivarono alle medesime conclusioni, alla necessità di un  “compromesso storico”, cioè all’intesa fra i due maggiori partiti italiani,  senza destabilizzanti terze incomode interferenze, per stabilire tempi e modi  dell’attuazione di una democrazia compiuta, attraverso l’alternanza al governo  del Paese, come avviene nelle più evolute democrazie occidentali. |  Renato Russo(20 marzo 2018)
 
            
    
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      | 1. Alfredo  Reichlin | 2. Barletta 24  aprile 2014, Palazzo della Marra. L’on. Alfredo Reichlin con il sindaco  Pasquale Cascella (FOTO GIOVANNI FERRINI) |  
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      | 3. Barletta 24 aprile 2014, Palazzo della Marra. Da sinistra Gilda  Binetti, Enzo Lavarra, Alfredo Reichlin, Gero Grassi e Pasquale Cascella, in  piedi Raffaella Salerno Porreca (FOTO GIOVANNI FERRINI) |  
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