|   La biografia di Michele Labianca
            un testimone del secolo breve           Questo diario come un libro di storia, che attraversa tutto il  Novecento, un vero libro di storia, come solo un esperto professore di questa  materia avrebbe saputo scrivere. La storia di un uomo, lungo il percorso di una  lunga e sofferta esistenza. Sofferta eppure così ricca di ambiziosi traguardi  raggiunti, fin dalla infanzia, lungo un accidentato percorso segnato da  innumerevoli contrarietà che temprarono quel ragazzo nel crogiuolo di una molteplicità  di affanni.Un’esistenza come altre, specialmente nella temperie dell’inizio  del Novecento, e tuttavia raccontata sempre nel contesto di una vicenda corale,  che ci riporta ad una stagione ricca di spaventosi eventi per la storia del  nostro paese e dell’Europa: sullo sfondo, il drammatico scenario delle due  Guerre Mondiali, prima durante e dopo. La sagra di una vita.
 La partecipazione del padre ad un conflitto che sarebbe durato  quattro terribili anni, dal quale salvarsi aveva quasi del miracoloso da  segnare profondamente l’animo di ogni reduce da una così sinistra e rovinosa  avventura umana prima ancora che militare.
 Il padre provato dalla guerra, la madre temprata nella sofferenza  delle privazioni e dell’attesa, e un figlioletto cresciuto nella penuria di una  dignitosa indigenza. Quindi la morte di entrambi i genitori, prima la madre,  poi il padre, e la sua triste condizione di orfano. Ricordi annebbiati dalla  lontananza degli eventi e dall’amarezza del contesto vissuto.
 Racconta: “Restai presto solo, senza affetti, senza amore di  nessuno, sballottato fra gli sguardi protervi degli zii… Cominciò così  l’odissea della mia vita. Quindi l’Ospizio ‘Maria Cristina di Savoia’ a  Foggia…”.
 Qui il racconto si fa serrato, incalzante, intriso di amarissimi  ricordi, soprattutto l’indifferenza e anzi il fastidio dei parenti, dai quali  si sente sopportato. La scuola elementare, la curatela dello zio Raffaele, poi  di zio Stefano, quindi l’Ospizio di Lucera e i bei voti a scuola, finalmente la  licenza di avviamento, a 18 anni. Ritrovarsi per strada, solo, accolto qua e  là, dalla signora Amorosina, non una parente ma la mamma di un amico d’ospizio…  Che anni terribili! Vita ricostruita con accenti drammatici, e dalla quale pure  arguiamo che fu già da quelle primissime dolorose esperienze che andò  temprandosi il suo carattere, ferreo, risoluto, non disposto a cedere, ma anzi,  sempre combattivo.
 Non ripercorreremo tutte le ulteriori tappe della sua vita; ci  limiteremo a dire soltanto che, durante una laboriosa e formativa esperienza  nel corpo della Guardia di Finanza, egli si applicò testardamente e  fortissimamente (alla maniera di Vittorio Alfieri) agli studi classici. Per  approdare infine all’idoneità e quindi all’insegnamento al magistrale.
 *   *   * Professore, infine, il sogno della sua vita realizzato a costo di  tanti sacrifici, di tante disillusioni, di tante durissime prove che avrebbero  piegato chiunque altro, ma non lui, una quercia irrobustita dalle contrarietà,  immunizzato dalle sofferenze fisiche e morali, sempre proteso al suo obiettivo,  l’insegnamento.Non solo punto di arrivo per una lunga pregressa sofferta  esperienza di vita, ma un nuovo punto di partenza. Finalmente insegnare, dare  agli altri il frutto della propria preparazione, dei propri studi, e non in un  contesto solo accademico, non il solo insegnamento storico-filosofico della  propria disciplina didattica, ma innanzi tutto un insegnamento di vita.
 Quindi i numerosi riferimenti al progressivo affacciarsi e poi  affermarsi del fascismo, l’istintivo rifiuto di ogni forma di imposizione  ideologica, l’affermazione della propria libertà personale. La chiamata alle  armi, e poi il lungo periodo passato in prigionia, la sfibrante anabasi, tappa dopo tappa, la conoscenza con una  umanità umiliata, calpestata, violata. C’è questa parte del libro che disegna  un grande affresco nella vita del prof. Labianca, ed è quella relativa al  periodo bellico, alla sua chiamata alle armi, dove si intreccia la storia di un  militare con la dettagliata descrizione del tempo infinito di una guerra  detestata, rapide pennellate con le quali al soldato subentra lo storico che  rivela la sua capacità descrittiva degli eventi bellici sullo scacchiere  europeo come la descrizione delle fulminee vittorie della Germania nel 1941.  Quindi la meticolosa descrizione del soldato Labianca, angustiato, eppure  sempre presente a se stesso, la partenza per l’Albania, alla quale l’autore del  diario dedica molti ricordi, sullo sfondo di una immane tragedia. Così come  quando, racconta il 25 luglio del ’43, la caduta del fascismo e pochi mesi dopo  l’8 settembre, lo sconquasso che ne seguì a livello nazionale, un paese nella  bufera. A quella data si sovrappongono i ricordi personali a quelli dell’epopea  di un popolo disorientato e di un esercito allo sbando. Di cui Labianca è uno  delle migliaia di soldati incerti sul da farsi, consapevole che da una scelta  sbagliata potrebbe scaturire un errore fatale, la sua stessa vita in gioco.  Ancora una volta lo storico prende la mano al soldato e ricostruisce quelle turbolente  giornate sullo sfondo di uno sfacelo generale “quando sembrava che il mondo ci  crollasse addosso”.
 Quindi, “un viaggio all’Inferno”, come ce lo racconta l’autore, un  viaggio terribile fra disagi e paure, senza cibo e senza speranza di alcun  futuro, sostenuti solo dalla tempra del carattere e dall’istinto di  sopravvivenza, pensando a Dio e alla famiglia. Al termine di un lunghissimo,  faticosissimo viaggio, il campo di concentramento, un lager dove più che  prigionieri, i nostri soldati erano trattati da “schiavi” perché considerati -  dai nostri carcerieri - dei traditori. L’adattamento al lavoro più faticoso,  senza del quale la prospettiva di salvarsi era praticamente nulla, la forza di  volontà e la capacità di adeguamento alla fatica e alle privazioni di ogni  genere, morali e materiali, e quella fame che non li abbandonava mai. Capitoli  che meriterebbero un libro a parte, e che bene giustificano la presenza di  questa testimonianza fra i “Quaderni della Memoria” raccolti a cura  dell’Archivio della Resistenza e della Memoria.
 E finalmente al termine della guerra, riprendere il filo  interrotto di un percorso accidentato. Il ritorno a casa, nel grembo e nel  calore degli affetti familiari, e alla cattedra di storia e filosofia, prima a  San Severo, poi a Barletta, al liceo classico “A. Casardi”.
 Per il fatto stesso che sia un’autobiografia affidata per la  stampa alla fiduciosa benevolenza dei suoi figlioli, le giornate del suo  tramonto gli furono più lievi, perché nella trascrizione dei suoi ricordi  coltivò egli forse il piacere di immaginare che il racconto della sua vita non  andasse perduto.Ci sono biografie che sono limitate dall’arida ricostruzione della  propria intima personale vicenda umana. Questa biografia non è invece ristretta  entro gli angusti confini di una visione personale, ma al di là della  stringatezza dei fatti, allarga il suo orizzonte in una ricerca introspettiva  di se stesso sulla linea di un orizzonte più profondo, quello del suo tempo del  quale fu egli non solo spettatore passivo, ma anzi, un attivo attore, il  volitivo educatore di generazioni di studenti che ancora lo ricordano con  affetto e rispetto.
 M. LABIANCA, La  forza della speranza, Editrice Rotas 2015 Renato  Russo(27 aprile 2015)
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