|   Eraclio… e se fosse venuto via terra?  Mentre ancora oggi gli studiosi non sono d’accordo sulla attribuzione  della identità di Eraclio, limitandosi a convenire che si tratta in ogni caso  di un imperatore bizantino, scontate fin qui sembravano almeno le modalità del  suo arrivo a Barletta. Vuole infatti la tradizione, risalente a una cronaca del  1600 del gesuita Giovanni Paolo Grimaldi, che, trafugata durante l’occupazione  di Costantinopoli del 1204 da parte dei Crociati, la statua fosse stata stivata  all’interno di una nave diretta a Venezia, naufragata di fronte al litorale di  Barletta. I nostri marinai avrebbero allora imbracato il Colosso e tirato a riva e qui,  trasportato e deposto sul molo portuale, ricostruzione ripresa dal prof.  Pasquale Testini (in Vetera  Christianorum 10/1973).Ma a mettere in dubbio questa versione, qualche anno fa, ci ha pensato il  prof. Gianfranco Purpura, ordinario di Storia del Diritto dell’Università di  Palermo, il quale, nel corso di un Convegno internazionale dell’Accademia Costantiniana  (cfr. Atti del convegno studi, Spello 1990) contestò l’improbabile  ricostruzione fatta dal padre G. P. Grimaldi che l’avrebbe acquisita da una  generica “antica tradizione” secondo la quale sarebbero stati i Veneziani a  prelevare a Costantinopoli la statua raffigurante l’imperatore Eraclio  modellato da un tale Polifobo. Un ipotetico naufragio nei pressi del litorale  di Barletta della nave veneziana che la trasportava, ne avrebbe determinato  così la sua acquisizione. Pasquale Testini, pur prendendo le distanze da questa  spiegazione da lui considerata una  storiella di carattere umanistico, escogitata dal Grimaldi, tuttavia ammette almeno un margine  di veridicità alla ricostruzione di questo racconto che appare essere l’unica  versione finora proposta.
 Ed è proprio in alternativa a questa tradizionale ricostruzione, che il  Purpura ne adombra un’altra, cioè l’ipotesi che il colosso di bronzo, sarebbe  stato scoperto a Ravenna dall’imperatore Federico II e trasportato a Barletta  via terra agli inizi del 1232.
 Perché Federico? (sempre lui!) e perché il monarca svevo si trovava in  quel di Ravenna? Perché nell’estate del 1231 i Comuni lombardi avevano  rinnovato il patto per la Lega e avevano deliberato di organizzare un forte  esercito per rinnovare i fasti della vittoriosa battaglia di Legnano contro il  grande Federico Barbarossa (29 maggio 1176). Per scoraggiare sul nascere la  fronda antimperiale, accompagnato da Berardo di Castacca e Tommaso d’Aquino, ai  primi di novembre del 1231 Federico si portò a Ravenna dove fissò una dieta,  cioè una grande assemblea, di principi italiani e tedeschi per il 25 dicembre.  Frattanto, nell’attesa dell’inizio degli eventi, il sovrano veniva informato da  un cavaliere di nome Riccardo che in un tratto di campagna non lontano dalla  città affioravano, fra l’incolta vegetazione, dei sassi che tradivano forse - a  suo dire - la presenza di un sottostante ritrovamento archeologico. Pur  dubbioso, Federico, appassionato di antichi cimeli, anche per tenere impegnati  i suoi uomini, avviò veri e propri scavi nei pressi dell’antica città dei re  goti e degli imperatori bizantini.
 Dopo circa tre-quattro mesi, affiorava alla luce, in buono stato, il  Mausoleo di Galla Placidia e accanto una gigantesca statua di un imperatore  bizantino, presumibilmente Teodosio il  Grande, padre di  Galla.
 Sulle modalità degli scavi effettuati da Federico II siamo informati da  un dettagliato resoconto fornito nel 1275 da frate Tommaso da Pavia che nel  1253 era stato in Romagna ed essendo amico dell’arcivescovo ravennate Filippo,  gli aveva circostanziatamente riferito i particolari del ritrovamento (il testo  integrale, in latino, è riportato dal Purpura nella sua relazione). Nulla però,  naturalmente, il frate riferisce circa l’identità dell’imperatore bizantino e  sulle circostanze e i tempi della sua fusione. A parere dello studioso  palermitano è evidente che i problemi relativi alla provenienza, trasporto e  collocazione originaria, sono strettamente connessi alla identificazione del  personaggio e dell’avvenimento storico che ha determinato l’erezione della  statua.
 Secondo Purpura quella statua potrebbe essere stata eretta a Ravenna  intorno al 438, anno della promulgazione del codice teodosiano (Teodosio II,  401-450) da Valentiniano III in onore del nonno Teodosio I il Grande (347-395) padre di Galla Placidia. Collocata inizialmente  davanti al palazzo di Valentiniano, la statua sarebbe stata successivamente  traslata accanto al Mausoleo di Galla.
 Federico II avrebbe allora disposto il trasporto della statua a Barletta,  il che confermerebbe la grande predilezione del sovrano verso la nostra città.  Deposta sul molo, avrebbe atteso circa sessant’anni prima che Carlo II d’Angiò,  nel 1309, se ne accorgesse per prometterla ai domenicani di Manfredonia. Com’è  confermato dall’unico documento fin qui certificato - sulla vicenda -, un  editto con il quale il sovrano angioino concedeva la statua deposta presso la  dogana portuale per fonderla e cavarne bronzo per la campana della chiesa in  costruzione presso Siponto (Carolus  cedebat). Religiosis viris fratribus predicatoribus in Manfredonia  morantibus seu ipsorum nunciis ymaginem de metallo existentem in dohana Baroli…  in subsidium campanae della chiesa in costruzione presso Siponto (il testo dell’editto nell’Archivio  di Stato di Napoli, Regestri Angioini, Regesto n. 185 del 1309 B, foglio  245, riprodotto in LOFFREDO, Storia  della città di Barletta, I, Vecchi-Trani 1893 e in TESTINI, La  statua di bronzo o Colosso di Barletta, in Vetera  Christianorum 10/1973, 129,2).
 Nonostante la distruzione prevista della statua per la fabbricazione  della campana, essa è giunta fino a noi sostanzialmente integra, essendo stato  accertato in occasione del restauro del 1980 (a cura di G.B. De Tommasi) che  almeno la testa ed il busto fossero coevi e facessero parte della stessa  originaria fusione. Il che lascerebbe supporre - secondo la tradizione - che,  dato il modesto pescaggio dell’imbarcazione, essi abbiano potuto imbarcare  soltanto gambe e braccia della statua, rinviando ad un viaggio successivo il  completamento del carico.
 Il trasporto della statua dell’imperatore bizantino a Barletta  rientrerebbe nel novero di simili operazioni compiute dal sovrano già prima e  dopo quel ritrovamento. Sui tempi del trasporto e sulle modalità, Purpura non  si pronuncia. Suppone solo che potrebbe essere avvenuto subito dopo il  riscoprimento, oppure dopo la presa di Ravenna del 1240 - da parte dello Svevo  - quando dispose l’invio, in Puglia, di diverse opere, incaricando del  trasporto il camerarius imperiale Riccardo di Montefuscolo,  addetto alla cura dei beni regi (omonimo dello stesso funzionario al quale  Federico, in quello stesso periodo, aveva dato l’incarico di iniziare la  costruzione di Castel del Monte). I documenti relativi a questa costruzione  erano andati distrutti nella disfatta di Parma (1247), può darsi che in quei  carteggi ci fossero anche i documenti relativi al trasferimento di questa  statua.
 Resta in ogni caso il dubbio del perché sarebbe stata scaricata presso la  dogana del porto e non in luogo più dignitoso, come - per esempio - nell’atrio  interno del Castello. Ma questa è un’altra storia.
 DidascaliaIl Mausoleo di Galla Placidia affiorato alla luce dagli scavi ordinati  da Federico II, presso Ravenna, nei primi mesi del 1232 (disegno di Rosa Acito)
 Renato  Russo(23 aprile 2015)
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