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 Castello di Barletta? Tutto, fuorché aragonese Ci  ha sorpreso che l’annuncio della inaugurazione del Polo Museale (attraverso  manifesti cittadini e inviti personalizzati) abbia definito il nostro come  castello aragonese, una definizione che ci ha lasciato francamente perplessi.  Come si può spiegare questo errore? Io credo facendo confusione fra dominazione  aragonese e spagnola. Il castello infatti, nella sua ultima facies, è spagnolo, il cui dominio sul  Regno di Napoli durò dal 1500 al 1707, periodo durante il quale avvennero tutte  quelle trasformazioni strutturali che portarono il castello all’attuale  configurazione, mentre nel breve regno aragonese (1442-1500), come sarà più  chiaro fra poco, non successe assolutamente nulla di rilevante, salvo qualche modesta  fortificazione muraria di cui non c’è peraltro giunta alcuna certificazione  documentale.Il  nostro castello insomma è tutto, fuorché aragonese. Normanna è la sua rocca  (originariamente ce n’erano quattro, ma solo una sopravvisse, oggi incamiciata  nel castello ispanico); sveva è la domus costruita da Federico II nell’ala est dove teneva corte; angioino era (non c’è  più) il palatium costruito al centro  dell’atrio e la torre tonda anch’essa incamiciata nella fortezza spagnola;  spagnolo il manufatto come si presenta oggi.
 L’apporto  degli Aragonesi alla sua edificazione? Praticamente nullo, salvo una breve  citazione di Gennaro Bacile di Castiglione da Spongano (Lecce), un autore  locale che deve la sua notorietà parte alla magniloquenza del suo altisonante blasone  e parte alla circostanza di aver scritto un volume sui Castelli pugliesi (Roma 1927), presentato da Giuseppe Ceci,  andriese ma naturalizzato napoletano, grande amico di Benedetto Croce che lo  ebbe come stretto collaboratore nelle sue ricerche storiche. E ne incoraggiò la  stampa con l’autorevolezza del suo accredito.
 Così  quando Marcello Grisotti scrisse il suo approfondito studio Storia e restauro del Castello di Barletta (Adda 1995), dedicò 78  pagine ai periodi normanno-svevo-angioino e spagnolo e appena nove righi alla facies aragonese (pag. 43) limitandosi a  precisare che di quel periodo non si sapeva assolutamente nulla, salvo una  breve citazione (non documentata da alcuna fonte) di tale Bacile di  Castiglione, il quale si era limitato a menzionare le date del 1458, 1465 e  1481, alle quali risalirebbero generici lavori di rafforzamento della  struttura. Così non deve stupire che quando due anni dopo lo stesso Grisotti  intervenne presso il Castello di Lagopesole, al “Convegno Internazionale di  Studi sui castelli normanno-svevi” (16-19 ottobre 1997), nella sua lunga  relazione, abbia dedicato al periodo aragonese solo una telegrafica citazione  (pag. 42, III rigo) limitandosi laconicamente a precisare: Quanto agli Aragonesi, compirono lavori di rafforzamento negli anni  1458, 1465, 1481. Tutto qui.
 Lo  stesso per quanto riguarda il più grande studioso dei nostri castelli, Raffaele  De Vita il quale, ricostruendone la storia (Castelli,  torri ed opere fortificate in Puglia, Adda 1984), lui pure dedica una concisa citazione ai supposti lavori degli  Aragonesi (pag. 93, colonna centrale, con il solito apodittico riferimento alle  stesse date: 1458, 1465, 1481!).
 Andando  poi indietro nel tempo, da una rapida rassegna dei nostri storici fra fine  Ottocento e prima metà del Novecento, si ha la conferma del nessun ruolo che  ebbero gli Aragonesi nella costruzione del nostro castello; questi autori  passano infatti dagli Angioini (1282-1442) agli Spagnoli (1500-1707) senza mai  citare gli Aragonesi (1442-1500) ritenendo del tutto inesistente il loro  apporto. Così Sabino Loffredo La Storia (I, pag. 343 - II, pag. 53); Salvatore Santeramo, La guida illustrata (pag. 25); Francesco Saverio Vista, Note storiche (I, I, pp. 16-17); Michele  Cassandro, Barletta nella storia e  nell’arte (pag. 160).
 Da  ultimo consulterei anche la Guida al  Castello di Barletta e ai suoi segreti (Rotas 2005) nella quale ho  ricostruito una dettagliatissima storia cronologizzata del nostro castello  arricchita da numerose cartine, anche questa ricostruzione ahimé anemica di  citazioni documentali riferite a quel periodo, nel quale re Ferrante avrebbe  comandato generici lavori di rafforzamento a tutte le strutture castellari del Regno, per preservare le città  costiere da eventuali invasioni turche.
 Quanto  alle tre date menzionate da Bacile di Castiglione, riteniamo siano valutazioni  induttive, come la prima (1458), che attribuisce ad Alfonso I d’Aragona,  l’inizio di possibili lavori di rafforzamento della fortezza, interrotti però  per la prematura morte del sovrano in quello stesso anno. Suo figlio Ferrante  alloggiò nel nostro castello in occasione della sua incoronazione avvenuta  nella cattedrale di Barletta il 5 febbraio 1459. Due anni dopo, il sovrano  riparò fra le sue mura con le sue truppe per difendersi dall’attacco portatogli  da Giovanni d’Angiò (sarà liberato dall’assedio dal provvidenziale intervento  di Giorgio Castriota Scanderberg). La seconda data menzionata, il 1465, si  riferisce a ipotesi di rafforzamento delle difese castellari in previsione  dello scontro armato paventato per la congiura dei Baroni; mentre il  consolidamento della cinta fortificata riferita all’ultima data, il 1481, è la  conseguenza della strage perpetrata dai Saraceni l’anno prima a Otranto.
 In  conclusione, cosa potremmo assegnare, come aragonese, al nostro castello?  Valutando i lavori compiuti al castello sotto gli Angioini e quelli realizzati  dagli Spagnoli, dopo aver testualmente dichiarato non esservi notizia di interventi aragonesi il prof. Grisotti, ad excludendum, in una sua relazione  svolta presso il castello sforzesco di Milano (“Atti del III Congresso di  architettura fortificata”, Milano 8-10 maggio 1981, pubblicata per l’Istituto  Italiano dei Castelli nel 1985), azzardò l’ipotesi che, sotto la dominazione  aragonese, sia stato eretto il rivellino sul quale sarà poi edificato il  bastione sud-est nel rifacimento cinquecentesco, e la scarpa addossata alle  pareti sud del corpo di fabbrica svevo-angioino di levante (pag. 177). Un po’  poco, per definire l’intera struttura aragonese.
   Renato Russo 
            (12 maggio 2010) << vai all'indice del canale |