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 Nicola Tarantino, cent’anni dalla nascitaUn esculapio nostalgico dell’arcadia
 Cento anni fa, il 29 giugno del  1913, nasceva a Barletta Nicola Tarantino, da Michele e Anna Giannone,  primogenito di quattro figli maschi: dopo Nicola, Luigi, Mario e Giuseppe. Il  dott. Nicola Tarantino, medico come suo padre, ha lasciato di sé un ricordo  incancellabile specialmente in quanti ebbero il piacere di conoscerlo e di  frequentarlo perché, oltre a svolgere il suo lavoro con grande competenza  professionale, era anche un amabile conversatore, un appassionato cultore di  storia patria, un dilettante eppure esperto archeologo, un profondo conoscitore  di opere classiche nonché studioso del dialetto barlettano e delle nostre  tradizioni. Una passione per la   conoscenza della nostra storia ch’egli coltivò fin dai suoi primi studi  presso il Liceo - Ginnasio “Bonello”, oggi “Casardi”, dove si distinse negli  studi classici, anche perché ebbe degli eccellenti docenti, come mons. Domenico  Dell’Aquila, Gino Morrone, Michele Mascolo (“Masculicchio”), Vincenzo Chiummo. Dopo la maturità, conseguita nel  1932, forse avrebbe preferito iscriversi ad una facoltà umanistica, a lettere  classiche, per esempio, ma prevalse la logica della tradizione familiare così  si iscrisse alla facoltà di medicina presso l’Università di Milano dove si  laureò nei sei anni accademici, dopo di che fece il tirocinio presso  l’Università di Perugia.
 Nel 1939, richiamato alle armi,  frequentò il Corso Allievi Ufficiali presso la Scuola di Sanità di Firenze dove  conseguì la nomina a Sottotenente di complemento. Ma la guerra era alle porte.  Scoppiò infatti il 2 settembre 1939 e l’Italia vi entrò il 10 giugno del 1940.  Dieci giorni dopo Nicola sposava Dora Borraccino. La loro vita fu naturalmente  condizionata dagli eventi bellici; frattanto, un anno dopo, nasceva la  primogenita Anna Maria.
 Il giorno  dell’armistizio era nel Salento dove partecipò della esultanza generale fra i  militari nel festeggiare quella che si credeva fosse la data della fine della  guerra. Ma era illusorio. Poco dopo   infatti passarono da quelle parti Badoglio e il suo ministero in fuga,  che avevano in animo di abbandonare l’antico alleato per schierarsi col nuovo,  di cui si attendeva lo sbarco liberatorio sulle nostre coste da un momento  all’altro. A sud erano le residue truppe di un esercito allo sbando e  furono le uniche ad aggregarsi agli alleati, come cobelligeranti nelle  operazioni militari che avrebbero portato alla liberazione dell’Italia dai  Tedeschi.
 Nel 1946, alla fine del Conflitto,  dopo il referendum istituzionale e la proclamazione della Repubblica, Nicola  ritornò a Barletta, così poté finalmente iniziare a esercitare la professione  medica.
 Nel 1948 nacque Michele (oggi  magistrato); erano i tempi difficili in cui i clienti arrivavano attraverso le  “Mutue”, ma non tardò a farsi presto una cospicua clientela, sia per le sue  conoscenze scientifiche sulle quali non smetterà mai di aggiornarsi, e sia per  la sua umanità, sapendosi immedesimare nelle sofferenze altrui.
 Ma l’antico  amore per gli studi classici non era svanito e così i momenti liberi li  dedicava a leggere, scrivere, partecipare a convegni, andare sui luoghi della  storia per conoscerli, talvolta per descriverli.
 Nel 1976 fu  tra i promotori dell’Archeoclub “Federico II”, fondato da Giuseppe Savasta e  con i soci Enrico Braccioforte, Giuseppe Doronzo, Gero Moschese, Tonino  Ruggiero. Organizzavano convegni, incontri e gite, specialmente sui luoghi  delle nostre più remote aree archeologiche (come Canne, Canosa, il Gargano).
 Fin  dall’uscita del primo numero (maggio 1982) collaborò con la redazione di  “Tentativo” stampato a cura dei giovani della parrocchia di Sant’Agostino, con  due rubriche, U  ssale di viecchie e L’angolo  della poesia. Era appassionato cultore della storia, specialmente di quella  classica, non solo la nostra, anche quella antica greco-romana. Racconta  Domenico Cassano, allora titolare della libreria “Dicandia”, in corso  Garibaldi, che sistematicamente gli metteva da parte le novità librarie di  genere classico sul territorio, perché puntualmente le acquistava quando  passava per ritirare il quotidiano.
 Spesso si  recava sui posti dei suoi studi, come quando si inerpicava sulle balze del  Gargano dove faceva lunghe e fruttuose passeggiate o in pianura sul greto  dell’Ofanto alla ricerca di antiche testimonianze.
 Quando poi  le forze  cominciarono ad abbandonarlo,  si dedicò allo studio del linguaggio, alla ricerca e alla interpretazione del  significato delle parole, a cominciare dalle nostre, cioè dal nostro dialetto.  Diede così alle stampe, nel luglio del 1985, Lessico del dialetto barlettano, nella  collana Ricerche della Biblioteca Comunale “S. Loffredo”, un’opera che colmava  un vuoto, con disegni firmati dal noto pittore Bebé Chiumeo e in appendice una  bibliografia del prof. Ruggiero Mascolo.
 Insoddisfatto  del lavoro, dette mano ad una seconda edizione più approfondita e arricchita da  alcuni splendidi disegni del padre Michele, di cui non fece in tempo a vedere  la pubblicazione perché un male inesorabile se lo portò via 1’8 marzo del 1988.  A curare la stampa sarebbe stato il figlio Michele, tre anni dopo, sotto il  titolo Dizionario  del dialetto barlettano, edito dalla Rotas, ancora oggi richiestissimo.
 Il suo più  grande rimpianto, quello di non aver fatto in tempo a pubblicare un’antologia  di poesie, Canzoniere 1944-1987,  centotrenta poesie in lingua e in vernacolo, una lirica classica la sua, ariosa  ed elegante al tempo stesso, densa di contenuti com’era la sua intensa  quotidianità, senza mai cedere alla tentazione di una banalizzata versificazione.  Il centenario della nascita che celebriamo in questi giorni, potrebbe offrirci  l’occasione per una sia pur tardiva pubblicazione.
 Renato Russo
 (29 giugno 2013)
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