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Pasquale Cascella
consuntivo di un bilancio fra luci e ombre

10 giugno. Leggo sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”, a pag. 19, un articolo che attira subito la mia attenzione! Il ministro Franceschini annuncia “Pioggia di fondi per la cultura al Sud, pronti 491 milioni per progetti in Puglia e Basilicata”. Ci siamo - ho pensato - finalmente è venuto il turno di Canne, rientrata nei poli museali del Centro Sud, come il ministro aveva promesso a gennaio al nostro sindaco che per il sito più famoso di Puglia s’era molto speso (l’ultimo interessamento ministeriale per Canne risaliva esattamente a 15 anni fa, nel giugno 1999, all’impegno assunto dal ministro Giovanna Melandri di passaggio a Barletta).
E invece, ancora una volta come tre lustri fa, siamo restati delusi e avviliti perché finanziamenti ce ne sono per tutti, ma proprio per tutti gli antichi siti pugliesi e lucani (60 attrattori culturali!) meno il più famoso, Canne della Battaglia (il che ci conferma nel sospetto che il nostro sito non sia rientrato nei “Poli museali”).

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Ma il 10 giugno è anche la data che ci riporta - due anni fa - all’insediamento del nostro sindaco Pasquale Cascella, il che ci induce ad un ricordo (le circostanze di quella caduta annunciata) e a qualche riflessione. Dopo l’amministrazione Maffei, specialmente nei due ultimi anni (i primi del suo secondo mandato) la conduzione del Palazzo aveva preso una piega autoritaria, così una maggioranza eterogenea (nata dall’estemporanea alleanza con l’opposizione) ne aveva decretato la fine prematura.
Di qui, con decisioni verticistiche romane, (invano contrastate da chi a sinistra avrebbe voluto primarie cittadine, ma condivise dalla base pidiessina locale), il gruppo dirigente del PD impose al suo interno la candidatura di Pasquale Cascella, uno dei più stretti collaboratori del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il passaggio dalla designazione romana alla consultazione elettorale locale attraversò numerosi incontri preliminari con la base a diversi livelli dei quali ne ricordiamo particolarmente uno sulla “cultura” a Palazzo della Marra, un altro sulla presentazione del candidato alla Sala Rossa del Castello, ed altri ancora nel corso dei quali rappresentanze popolari ebbero la possibilità di interloquire e di dire la propria con risposte tranquillizzanti del candidato.
Grande sospiro di sollievo, quella candidatura, dopo l’ultimo biennio segnato da decisioni sempre più unilateralizzate da parte dei vertici del Palazzo, tant’è che titolai un articolo di quella promettente stagione pre-elettorale Finalmente tornata la democrazia a palazzo, a lungo incerto se chiudere il titolo con un punto interrogativo o esclamativo.
Nell’imminenza della formazione della Giunta, io pure ebbi l’opportunità di dare qualche consiglio al nuovo sindaco, soprattutto gli raccomandai la realizzazione di quei punti programmatici dalla cui disattesa applicazione era scaturita la crisi del precedente esecutivo, e cioè: 1) nella scelta degli assessori, l’estrema competenza nelle materie loro assegnate perché diversamente sarebbe nato un pericoloso squilibrio con i dirigenti di riferimento; 2) acquisito il primo punto, assegnare la più ampia autonomia operativa gestionale a ciascun comparto assessorile-dirigenziale (anche in attuazione dello spirito della nuova legge sulle Autonomie Locali), riservandosi il sindaco una maggiore cura nel coordinamento generale dell’attuazione programmatoria; 3) rispetto dei partiti e dei gruppi consiliari attraverso il riconoscimento delle loro rappresentanze istituzionali, cioè segretari e capigruppo; 4) avere sempre a mente di non essere il dominus del palazzo (versione addolcita della locuzione “monarca”) ma il democratico interprete della sintesi delle politiche amministrative cittadine. Era chiedere troppo? Del resto mi sembravano - allora come oggi - raccomandazioni abbastanza scontate.

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Nel giorno del suo insediamento a Palazzo di Città, dopo la cerimonia del giuramento nelle mani del Prefetto, ricordo di aver fatto dono al sindaco di un decalogo, parafrasato dal famoso “SE” di Kipling e applicato al suo corrente mandato che cominciava così: “Se saprai rispettare ed ascoltare amici e avversari e questi ultimi senza pregiudizi e anzi con maggiore rispetto dei primi”… E più avanti precisavo: “Se saprai ascoltare l’interlocutore senza prevenzioni, con pazienza e senza la supponenza di imporre il tuo punto di vista, ma prendendo quello che di buono c’è nelle altrui argomentazioni”… Dopo la presentazione della Giunta a Palazzo della Marra, finalmente la partenza dell’esecutivo nella pienezza delle sue prerogative.
Ora, tentare un bilancio di questo primo biennio è impresa alquanto ardua, perché è difficile interloquire con un sindaco che - anziché ripristinare le antiche regole di una gestione democratica - ha anzi accentuato la concezione dirigistica di Salerno e di Maffei (mal comune, mezzo gaudio), con la circostanza esimente ch’essi avevano una qual certa esperienza di conduzione della cosa pubblica locale, mentre Cascella ne era all’oscuro, per di più abituato alla rarefatta atmosfera dell’Olimpo quirinalizio, per cui ci si sarebbe aspettati da lui un atteggiamento più morbido, cioè più aperto e disponibile, verso le altrui interlocuzioni. Per cui io credo che i ripetuti scontri - sotto gli occhi di tutti - in Consiglio Comunale come nella struttura dirigenziale fino ai massimi livelli - non è tanto conseguenza di una diversificazione di contenuti, quanto di insofferenza caratteriale. E questo un sindaco non se lo può permettere.
Fare il sindaco infatti non solo richiede una grande conoscenza della propria città e delle sue problematiche politiche e amministrative, richieste specialmente dopo una così lunga assenza dalla propria città, ma anche un briciolo di disponibilità al dialogo e un carattere flessibile di grande apertura mentale e che non sia invece ostaggio di condizionamenti ideologici. Perché scendere direttamente dal Quirinale per occupare lo scranno di primo cittadino della propria città, senza una convinta accettazione di questi valori, umani prima ancora che politici, credo renderà sempre più difficile svolgere questo ruolo. Se poi aggiungi che il nostro sindaco è notoriamente diffidente verso tutti e che non gradisce essere contrariato (absit iniuria verbis), allora si comprenderà quanto siano difficili le sue giornate al primo piano di Palazzo di Città. E non solo le sue!
Probabilmente queste valutazioni lo irriteranno, ma anche questa storia, della sua contrarietà ai giudizi della stampa, è sorprendente, essendo egli stesso giornalista di lungo corso. Se posso dargli un ultimo consiglio, mi aspetto invece che - dopo avermi ringraziato per la mia schietta disinteressata sincerità - prescriva ai componenti della sua Giunta e ai suoi dirigenti di stendere una rendicontazione biennale di ciascuna attività per coordinarla in un fascicolo riepilogativo interlocutorio alla programmazione quinquennale a beneficio dell’aggiornamento informativo cittadino. Chi meglio di lui. Anche perché è venuto forse il momento - occasionato dall’esito di questa campagna elettorale delle regionali - di fare il punto sul modello gestionale dell’Amministrazione Comunale e sulle sue prospettive filtrate anche attraverso la rifrazione ottica di una visione provinciale.

Renato Russo
(11 giugno 2015)

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