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La crisi a palazzo, invito alla classe politica: cercare di farsi carico della volontà popolare

Quando viene rieletto un sindaco, ci si aspetterebbe una partenza veloce, senza preamboli superflui, specialmente nel caso nostro, attesa l’esperienza maturata dall’attuale inquilino del palazzo nei cinque anni precedenti. E invece purtroppo siamo partiti male, malissimo, e non per contrasti con l’opposizione, ma maturati all’interno della stessa coalizione di maggioranza. Lo scoglio? L’elezione del presidente del consiglio: sei da una parte, quattro dall’altra, in uno sterile braccio di ferro. Al di là delle apparenze? Si dice sia l’esito della contrapposizione fra due aree facenti capo a due consiglieri regionali, Ruggiero Mennea e Filippo Caracciolo. Lo riferiamo col beneficio del dubbio.
Se così fosse, si delineerebbe un contrasto molto più ampio di quanto non appaia a una prima superficiale lettura, qualcosa di più profondo e durevole che attiene ai metodi collaborativi all’interno di una medesima compagine che ha determinato l’elezione di un sindaco il quale si sente imbrigliato nell’azione di governo e minaccia di chiudere il suo secondo mandato prima ancora di essere partito per la sua realizzazione.
Un problema che attiene quindi alle regole di comportamento della civile democratica convivenza fra opposti schieramenti. Che fare? Tra i due litiganti il terzo gode, così ad essere eletto presidente alla fine è stato il terzo consigliere regionale, cioè Franco Pastore, e purtroppo con una risicatissima maggioranza, il che lascia intravedere scenari operativi sofferti e anemici.
E intanto incalza la scadenza del bilancio, che anche ad approvarlo nel pieno dell’estate, con tanto ritardo, sarebbe una grave iattura.
Il segnale più manifesto, agli occhi della città, al di là delle notizie di stampa, è un indice apparentemente effimero, eppure significativo, cioè la mancanza di una programmazione estiva (a parte le rappresentazioni estemporanee già programmate) a cominciare dal calendario castellare cinematografico tanto gradito al pubblico e che pare quest’anno debba saltare.
Su tutto, si addensa sulla città una nube sempre più densa ed ampia, è la diffusa disistima della cittadinanza verso la classe politica che non riesce a trovare una ragionevole intesa per uscire fuori dal tunnel buio in cui si è andata a cacciare senza apparenti vie d’uscita. Non ce la sentiamo di dar pareri e consigli, salvo rilevare che la gravità della crisi è nella impostazione di fondo dell’atteggiamento dei leaders, del loro modo di confrontarsi, perché - almeno dall’esterno - non sembra che il nodo consista nel contrasto su problematiche cittadine, ma in un conflitto di posizioni dirette a stabilire gli ambiti di prevalenza dei rispettivi gruppi.
Se la contrapposizione fosse scoppiata alla vigilia della consultazione elettorale, nulla quaestio, era legittimo. Ma dopo che si sono celebrate le votazioni e abbiamo un sindaco, vorremmo ricordare che non esiste più una perfetta parità tra le parti in contenzioso, ma che il sindaco - al di là delle nostre personali simpatie o antipatie - rappresenta ad unità l’intera città, tutti gli elettori indistintamente e, per essi, le stesse forze politiche. Questo non vuol dire che se i motivi del contrasto fossero talmente gravi da determinare la sfiducia al primo cittadino, non potrebbero legittimamente portare ad una conta e quindi ad una rivoluzione del “patto elettorale” (cioè dell’esito del risultato del voto) ma vivaddio siamo ancora all’inizio e ci parrebbe veramente una deprecabile eventualità.
Vorrei che fosse chiaro che personalmente non parteggio per nessuna componente, ma mi limito a guardare allo scenario del teatrino politico cittadino, per auspicare che i responsabili dell’impasse abbiano la lungimiranza di frenare gli slanci critici per trovare una ragionevole soluzione di compromesso. Quella della votazione di Pastore - interlocutoria e ragionevole - aveva rappresentato un’ottima via d’uscita. Non è stata colta ed ora lo scenario si fa  più problematico e nebuloso col dubbio che non solo non si delineano aggiustamenti durevoli per l’immediato, ma non se ne intravedono neppure per l’eventualità di un ritorno alle urne.
In condizioni di ordinarietà avrei suggerito l’ovvio ricorso alle segreterie dei partiti, ma solo nel caso ci fosse stata una disciplinata gerarchia (locale, provinciale e nazionale, come era un tempo e funzionava benissimo). Ma non esiste più, ed è la più grave iattura che ci poteva capitare dopo la fine della prima Repubblica. E allora?
Una parola ragionevole, un invito al superamento della stagnante situazione potrebbe venire dal vertice della Chiesa: mons. Giovan Battista Pichierri ci ha provato durante l’omelia dell’ultima celebrazione patronale; oppure dal responsabile locale della Gazzetta del Mezzogiorno, Rino Daloiso, che visse da presso e lucidamente commentò la grave crisi politica che colpì la città degli inizi anni Novanta; o personalità di comprovata esperienza, il cui attuale silenzio induce al sospetto che essi pure si siano rassegnati…, oppure gente del popolo, comuni cittadini fra i quali sempre più serpeggia la diffusa convinzione che al punto in cui stanno le cose, di fronte alla palese incapacità della nostra classe politica di amministrare la città, i responsabili dell’immobilismo si facciano da parte e venga un commissario di governo…
Brutto, bruttissimo segnale. Ne sono consapevoli gli attori di questa drammatica stagnante situazione? Riflettano, essi, che non sono i padroni della città - come certi atteggiamenti inducono a ritenere - ma solo gli speaker della volontà popolare. Ebbene, se un ultimo sommesso suggerimento posso dare, è proprio quello di cercare di farsene interpreti, senza prevenzioni di sorta.

Renato Russo

(21 luglio 2011)

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