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 Partita l’amministrazione  Cascella,auguriamole una buona  navigazione
 Mi ha stupito  che nella recente campagna elettorale, con scarsa attitudine alla capacità di  una più approfondita analisi interpretativa, non siano state ricercate le vere  cause della caduta dell’ultima amministrazione comunale, soffermandosi invece  alla superficiale (e strumentale) ricerca di improbabili congiurati che hanno  viceversa messo fine ad una stagione sindacale. La quale, pur nella  ristrettezza dei tempi del suo breve esercizio (l’inizio del suo secondo  mandato) ha provocato così gravi danni al patrimonio comunale, tanto da causare  un cumulo di debiti fuori bilancio che Dio solo sa quando riusciremo a sanare!  Un’analisi critica dell’accaduto, non per infierire  (cui prodest?) ma al solo scopo di evitare che gli errori del passato si  potessero ripetere in futuro con grave pregiudizio degli interessi della città.  Errori che solo una ingenua (o scaltra) diagnosi poteva attribuire a  fantomatiche congiure di palazzo o per la tutela di interessi inconfessati,  mentre in realtà era l’ineluttabile epilogo di una dissennata conduzione  verticistica del governo cittadino, ispirata a scelte di mera discrezionalità.  Un verticismo decisionale quante volte denunciato non solo dagli organi di stampa,  ma anche da parte di larghe rappresentanze della società civile e di  espressioni del mondo professionale, culturale, lavorativo e persino cattolico!   Pure  se fosse sceso in terraDe  Gasperi in persona…
 Una volta,  negli ultimi decenni del secolo scorso, le amministrazioni cadevano con cadenza  stagionale perché i partiti e i gruppi consiliari tenevano il sindaco in  ostaggio dei loro condizionamenti, così a Barletta, dalla giunta Messina a  quella Dimiccoli, si alternarono diciotto giunte in vent’anni (1977-1997).  Quella di sfiduciare la giunta in carica per farla cadere e crearne una nuova,  era diventato lo sport preferito delle forze politiche di maggioranza, a  prescindere dalla qualità del primo cittadino, perché pure se fosse sceso in  terra De Gasperi in persona, non gli avrebbero riservato una sorte migliore che  una rovinosa caduta, un po’ a causa di richieste insoddisfatte di questo o quel  gruppo numericamente influente e un po’ per l’antica regola del togliti tu che mi metto io. La pratica,  nello scorcio di fine secolo - a Barletta come altrove -, diventò così diffusa  e generalizzata, da indurre il legislatore a porvi rimedio con un drastico  correttivo, cioè quello di legare le sorti della sopravvivenza del sindaco a  quelle del Consiglio comunale e vennero così le giunte Salerno e Maffei. E qui  gli equilibri mutarono radicalmente perché entrambi esercitarono un potere  pressoché assoluto e incondizionato, facendosi forti, ciascuno, proprio di quel  dissuasivo deterrente legislativo.Resi forti  entrambi dalla nuova normativa, gestirono però il potere con peculiari  caratteristiche personali, perché Salerno tracciò un programma fortemente  personalizzato e in larga misura lo realizzò, aiutato anche da alcune  congiunture storiche che ne gratificheranno il settennato: penso alla  ricorrenza del V Centenario della Disfida di Barletta che organizzò in forme  spettacolari, all’attribuzione alla città di due medaglie d’Oro (una al valor  militare e l’altra al merito civile), o allo storico traguardo del primato provinciale  della città.
 Sia Salerno  che Maffei non utilizzarono molto i propri assessori (e qui cominciamo ad  entrare nel vivo di un’attuale valutazione prospettica e comparativa), neppure  quelli che s’erano scelti loro, preferendo far leva più sulla burocrazia, cioè  sui dirigenti di propria stretta osservanza, che sui componenti della giunta. E  senza mai tenere in gran conto - entrambi - dell’apporto propositivo delle  numerose associazioni cittadine, e tanto meno della pur accreditata classe  culturale locale. Insomma, in entrambi, una centralizzazione gestionale,  nell’uso del comando, con l’unica non trascurabile variante dirimente fra i due  sindaci, della maggiore capacità realizzativa del primo a scapito delle modeste  capacità operative del secondo (capitolo mai approfondito, ancorché ricco di  scoraggianti diagnosi consuntive).
 Il Comune è  come un’azienda, la più grande di una città,   e ve l’immaginate voi un’azienda dove l’amministratore delegato accentri  su di sé tutte le prerogative direzionali espropriandone i dirigenti operativi  specializzati, come il direttore tecnico di produzione, il capo della  contabilità, il responsabile delle vendite e così via? Con l’aggravante di  certe varianti degenerative del management,  come (nell’ultima gestione) quella inesplicabile di spostare un dirigente  tecnico a capo del settore culturale, senza plausibili giustificazioni (si fa  per dire!).
 
 L’aspettativa  del nuovo Quando viene  eletto un nuovo sindaco, sorge comunque in tutti i cittadini un’aspettativa della  novità: c’è intanto l’enunciazione di un nuovo programma aggiornato (anche se i  problemi sono di solito gli stessi, ne possono però cambiare metodologie di  approccio, valutazioni di priorità e tempi realizzativi), ci sono nomi nuovi  fra gli assessori e talvolta anche alcuni dirigenti si avvicendano fra di loro.Punto di partenza ideale - a parer nostro - la  formazione di una giunta con assessori competenti nel settore per il quale sono  stati chiamati e con una ragionevole disponibilità di tempo da dedicare al  proprio settore, ma amministratori delegati che abbiano altresì un ampio  margine di autonomia operativa - anche in chiave di assunzione di  responsabilità -, nell’ambito della propria sfera di attribuzione di compiti. E  inoltre: indispensabile raccordo funzionale tra ciascun assessore e il suo  dirigente di riferimento (che purtroppo, nelle ultime giunte, ha funzionato  poco e male, cioè sporadicamente e inadeguatamente). Per non ricordare la  frequente cattiva intesa fra alcuni assessorati, come quelli ai lavori pubblici  e alle finanze, che dovrebbero lavorare invece in stretto contatto fra di loro.  Ma qui si aprirebbe uno scenario esemplificativo esageratamente vasto,  ricordando, fra l’altro, le periodiche perdite di pubblici finanziamenti, di  cui non si è mai capito a chi fosse imputabile la dimenticanza.
 Ci limiteremo,  in chiusura di questo breve excursus sul passato più recente, a formulare alcuni auspici: che il sindaco, anziché  accentrare, decentri e si faccia soprattutto carico di un’azione di promozione  e di concentrazione dei diversi settori coordinati al raggiungimento di un  comune programma; che i partiti di maggioranza sostengano la Giunta senza  esorbitanti condizionamenti, mentre quelli di minoranza esplichino  un’opposizione costruttiva; che le associazioni cittadine più rappresentative,  finora sistematicamente ignorate, specialmente quelle socio-culturali, non  vengano più tollerate in una negativa ottica questuante, ma collaborativa,  specialmente nelle prospettive di una valorizzazione dei beni sociali, culturali  e turistici, questi ultimi in chiave di ritorni economici e quindi anche  occupazionali.
 L’amministrazione  Cascella è partita. Che dire, se non augurarle buon viaggio, (i buoni propositi  non mancano e gli esordi lasciano ben sperare), affinché il nocchiero governi  la nostra nave zavorrata da un gran numero di antichi irrisolti problemi, e la  disincagli da un mare tempestoso, fra i marosi di problemi non solo cittadini,  ma entro scenari e prospettive territoriali poco incoraggianti, per  risospingerla in mare aperto, verso una più spedita navigazione.
 Renato Russo
 (4 luglio 2013)
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