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Quella maledetta voglia di vincere, Il romanzo del giovane Pietro Mennea
 


Partita l’amministrazione Cascella,
auguriamole una buona navigazione

Mi ha stupito che nella recente campagna elettorale, con scarsa attitudine alla capacità di una più approfondita analisi interpretativa, non siano state ricercate le vere cause della caduta dell’ultima amministrazione comunale, soffermandosi invece alla superficiale (e strumentale) ricerca di improbabili congiurati che hanno viceversa messo fine ad una stagione sindacale. La quale, pur nella ristrettezza dei tempi del suo breve esercizio (l’inizio del suo secondo mandato) ha provocato così gravi danni al patrimonio comunale, tanto da causare un cumulo di debiti fuori bilancio che Dio solo sa quando riusciremo a sanare! Un’analisi critica dell’accaduto, non per infierire (cui prodest?) ma al solo scopo di evitare che gli errori del passato si potessero ripetere in futuro con grave pregiudizio degli interessi della città. Errori che solo una ingenua (o scaltra) diagnosi poteva attribuire a fantomatiche congiure di palazzo o per la tutela di interessi inconfessati, mentre in realtà era l’ineluttabile epilogo di una dissennata conduzione verticistica del governo cittadino, ispirata a scelte di mera discrezionalità. Un verticismo decisionale quante volte denunciato non solo dagli organi di stampa, ma anche da parte di larghe rappresentanze della società civile e di espressioni del mondo professionale, culturale, lavorativo e persino cattolico!

 

Pure se fosse sceso in terra
De Gasperi in persona…

Una volta, negli ultimi decenni del secolo scorso, le amministrazioni cadevano con cadenza stagionale perché i partiti e i gruppi consiliari tenevano il sindaco in ostaggio dei loro condizionamenti, così a Barletta, dalla giunta Messina a quella Dimiccoli, si alternarono diciotto giunte in vent’anni (1977-1997). Quella di sfiduciare la giunta in carica per farla cadere e crearne una nuova, era diventato lo sport preferito delle forze politiche di maggioranza, a prescindere dalla qualità del primo cittadino, perché pure se fosse sceso in terra De Gasperi in persona, non gli avrebbero riservato una sorte migliore che una rovinosa caduta, un po’ a causa di richieste insoddisfatte di questo o quel gruppo numericamente influente e un po’ per l’antica regola del togliti tu che mi metto io. La pratica, nello scorcio di fine secolo - a Barletta come altrove -, diventò così diffusa e generalizzata, da indurre il legislatore a porvi rimedio con un drastico correttivo, cioè quello di legare le sorti della sopravvivenza del sindaco a quelle del Consiglio comunale e vennero così le giunte Salerno e Maffei. E qui gli equilibri mutarono radicalmente perché entrambi esercitarono un potere pressoché assoluto e incondizionato, facendosi forti, ciascuno, proprio di quel dissuasivo deterrente legislativo.
Resi forti entrambi dalla nuova normativa, gestirono però il potere con peculiari caratteristiche personali, perché Salerno tracciò un programma fortemente personalizzato e in larga misura lo realizzò, aiutato anche da alcune congiunture storiche che ne gratificheranno il settennato: penso alla ricorrenza del V Centenario della Disfida di Barletta che organizzò in forme spettacolari, all’attribuzione alla città di due medaglie d’Oro (una al valor militare e l’altra al merito civile), o allo storico traguardo del primato provinciale della città.
Sia Salerno che Maffei non utilizzarono molto i propri assessori (e qui cominciamo ad entrare nel vivo di un’attuale valutazione prospettica e comparativa), neppure quelli che s’erano scelti loro, preferendo far leva più sulla burocrazia, cioè sui dirigenti di propria stretta osservanza, che sui componenti della giunta. E senza mai tenere in gran conto - entrambi - dell’apporto propositivo delle numerose associazioni cittadine, e tanto meno della pur accreditata classe culturale locale. Insomma, in entrambi, una centralizzazione gestionale, nell’uso del comando, con l’unica non trascurabile variante dirimente fra i due sindaci, della maggiore capacità realizzativa del primo a scapito delle modeste capacità operative del secondo (capitolo mai approfondito, ancorché ricco di scoraggianti diagnosi consuntive).
Il Comune è come un’azienda, la più grande di una città,  e ve l’immaginate voi un’azienda dove l’amministratore delegato accentri su di sé tutte le prerogative direzionali espropriandone i dirigenti operativi specializzati, come il direttore tecnico di produzione, il capo della contabilità, il responsabile delle vendite e così via? Con l’aggravante di certe varianti degenerative del management, come (nell’ultima gestione) quella inesplicabile di spostare un dirigente tecnico a capo del settore culturale, senza plausibili giustificazioni (si fa per dire!).

L’aspettativa del nuovo

Quando viene eletto un nuovo sindaco, sorge comunque in tutti i cittadini un’aspettativa della novità: c’è intanto l’enunciazione di un nuovo programma aggiornato (anche se i problemi sono di solito gli stessi, ne possono però cambiare metodologie di approccio, valutazioni di priorità e tempi realizzativi), ci sono nomi nuovi fra gli assessori e talvolta anche alcuni dirigenti si avvicendano fra di loro.
 Punto di partenza ideale - a parer nostro - la formazione di una giunta con assessori competenti nel settore per il quale sono stati chiamati e con una ragionevole disponibilità di tempo da dedicare al proprio settore, ma amministratori delegati che abbiano altresì un ampio margine di autonomia operativa - anche in chiave di assunzione di responsabilità -, nell’ambito della propria sfera di attribuzione di compiti. E inoltre: indispensabile raccordo funzionale tra ciascun assessore e il suo dirigente di riferimento (che purtroppo, nelle ultime giunte, ha funzionato poco e male, cioè sporadicamente e inadeguatamente). Per non ricordare la frequente cattiva intesa fra alcuni assessorati, come quelli ai lavori pubblici e alle finanze, che dovrebbero lavorare invece in stretto contatto fra di loro. Ma qui si aprirebbe uno scenario esemplificativo esageratamente vasto, ricordando, fra l’altro, le periodiche perdite di pubblici finanziamenti, di cui non si è mai capito a chi fosse imputabile la dimenticanza.
Ci limiteremo, in chiusura di questo breve excursus sul passato più recente, a formulare alcuni auspici: che il sindaco, anziché accentrare, decentri e si faccia soprattutto carico di un’azione di promozione e di concentrazione dei diversi settori coordinati al raggiungimento di un comune programma; che i partiti di maggioranza sostengano la Giunta senza esorbitanti condizionamenti, mentre quelli di minoranza esplichino un’opposizione costruttiva; che le associazioni cittadine più rappresentative, finora sistematicamente ignorate, specialmente quelle socio-culturali, non vengano più tollerate in una negativa ottica questuante, ma collaborativa, specialmente nelle prospettive di una valorizzazione dei beni sociali, culturali e turistici, questi ultimi in chiave di ritorni economici e quindi anche occupazionali.
L’amministrazione Cascella è partita. Che dire, se non augurarle buon viaggio, (i buoni propositi non mancano e gli esordi lasciano ben sperare), affinché il nocchiero governi la nostra nave zavorrata da un gran numero di antichi irrisolti problemi, e la disincagli da un mare tempestoso, fra i marosi di problemi non solo cittadini, ma entro scenari e prospettive territoriali poco incoraggianti, per risospingerla in mare aperto, verso una più spedita navigazione.


Renato Russo
(4 luglio 2013)

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