|   Lattanzio a trent’anni dalla sua scomparsa1952: quando il professore prese possesso del vecchio  ospedale
 Quando il prof. Lattanzio il 17 luglio 1952 prese possesso, come nuovo  direttore sanitario e primario chirurgo, dell’Ospedale di Barletta si trovò di  fronte a una situazione avvilente. I malati ricoverati erano 52 e l’ospedale  era privo di mezzi, di attrezzature e di locali idonei, tanto che restò  inizialmente perplesso sulla possibilità che si potesse in qualche modo  rimediare a quella situazione e adeguarla a quelli che erano gli standard di un  ospedale moderno. La prima cosa che fece fu quella di redigere una relazione dettagliata  sulle condizioni in cui versava l’ente, sulla consistenza (ma meglio sarebbe  dire, sulla “inconsistenza”) dei diversi reparti e sui problemi da affrontare.
 A quel tempo la struttura era carente di una direzione sanitaria, mentre  poteva contare su un primariato chirurgico (ruolo assunto dallo stesso  professore), e su un primario medico (residente a Foggia), un direttore del  servizio di diagnostica radiologica, un primario ostetrico incaricato e un  direttore di laboratorio, coadiuvati da qualche assistente. Insomma il nuovo  direttore sanitario si trovò di fronte ad un gran numero di problemi difficili  da affrontare e da risolvere.
 Pensiamo alla mancanza degli  apparecchi di anestesia, ma anche delle attrezzature più elementari di cui è  dotato un ospedale discretamente attrezzato, come gli oscillometri,  l’elettrocardiografo, le apparecchiature per le fleboclisi, alcuni strumenti  chirurgici e così via.
 Particolarmente grave, poi agli occhi del professore, era la mancanza di  una emoteca e in generale di una associazione, di donatori di sangue. E inoltre  era carente il servizio di guardia che non veniva effettuato a turno continuo  ma solo per chiamata!
 I locali erano male utilizzati, inadeguati e in pessime condizioni di  manutenzione, tanto che, a dicembre, il professore colse l’occasione della  visita del prefetto Carta ad alcuni feriti del crollo di via Magenta, per  fargli notare che anche nell’Ospedale di Barletta esisteva un pericolo analogo  in un camerone del 1° piano. E fu così che ottenne surrettiziamente l’immediato  intervento del genio civile e la esecuzione dei primi lavori di consolidamento  statico dello stabile, del suo ampliamento e della sua trasformazione.
 Intanto, per dare inizio all’attività sanitaria, il nuovo direttore si  vide costretto a portare di suo delle attrezzature e alcuni apparecchi  indispensabili. E inoltre - fine psicologo - si adoperò fin dall’inizio per  creare un clima collaborativo fra i sanitari e il personale infermieristico.
 Per la soluzione di alcuni problemi indifferibili attivò tutte le  conoscenze che s’era fatto nella Clinica “Righetti” di Bari - dove aveva svolto  il ruolo di reggente negli ultimi tempi - trovando subito una intesa  collaborativa con i primi commissari prefettizi rag. Massarelli e dott.  Prezzolini e - all’interno della struttura ospedaliera - col dott. Michele  Damato direttore amministrativo dell’ente.
 Ed ecco come, impegnando tutte le sue risorse, il professore ottenne che  in pochi anni i 52 malati iniziali del luglio 1952, diventassero 660 del  febbraio 1966, e che da poche decine di sanitari (fra medici e infermieri) se  ne potessero contare varie centinaia. E per essere più precisi, qualche dato  statistico aiuterà a capire l’eccezionalità della sua attività: nel 1951 i  ricoverati erano stati 1840 con 22.828 giornate di degenza; nel 1965 i  ricoverati erano saliti a 14.666 con 210.276 giornate di degenza; così per  quanto riguarda gli interventi chirurgici, nel 1951 erano stati 375, nel 1965  ben 3.800.
 A parte lo stabile, nulla di quanto il professore aveva trovato all’atto  del suo insediamento fu conservato negli anni successivi, ma tutto venne  trasformato, migliorato ed ampliato col risultato di portare la capacità  ricettiva a 750 posti letto, una cifra destinata ad aumentare in futuro. In  modo particolare i mezzi di assistenza furono potenziati nei nuovi reparti man  mano che venivano a incrementare la struttura ospedaliera: oltre ai primariati  di chirurgia, medicina e ostetricia, si aggiunsero i reparti di  radiodiagnostica, laboratorio clinico, neuro-patologia, oculistica, pediatria,  cardiologia, anestesia e rianimazione. E inoltre fu creato un centro per la  cura fisica e nucleare dei tumori, una sezione di ortopedia e traumatologia,  una di otorinolaringoiatria, una di stomatologia e una di chirurgia plastica!
 Tutte queste attività il professore le realizzava come direttore  sanitario dell’Ospedale, senza dimenticare che al tempo stesso egli svolgeva  anche il ruolo di primario chirurgo.
 Una speciale cura venne riservata al personale infermieristico, mediante  la istituzione di una scuola per infermieri, vera fucina di personale  qualificato.
 Con questi grandi progressi venne naturale che l’Ospedale, che nel 1951  era di terza categoria, nel 1957 venisse classificato di seconda e, finalmente,  nel 1963, di prima categoria, perciò  fra  i primi ospedali di Puglia.
 Merito certo del professore, ma insieme anche della struttura amministrativa  che ne aveva assecondato gli sforzi innovativi in quegli anni, cominciando dal  vertice: dopo il dott. Prezzolini, il preside prof. Filannino e il vice  prefetto vicario dott. Montesanti.
 Ma il professore non curò solo tutti questi aspetti relativi all’espansione  della struttura sanitaria; ma guardando lontano, a partire dalla metà degli  anni Sessanta (ne conservo ancora nitido il ricordo) cominciò a maturare il  sogno di realizzare un nuovo grande ospedale, magari fuori dalle mura  cittadine, per una più razionale fruizione da parte dei ricoverati ed un più  agevole accesso viario alla struttura. Non mancò di suggerire con discrezione i  suoi preziosi consigli anche relativamente al problema della scelta del suolo  che frenò per molto tempo l’evoluzione di questo importante progetto.
 E per questo ambizioso disegno, la realizzazione di un nuovo nosocomio  che non rientrava proprio fra i suoi compiti istituzionali, tuttavia cominciò a  sensibilizzare la classe politica ad ogni livello, cominciando da quella locale  per coinvolgere poi quella provinciale e regionale. Alla fine anche quella  nazionale (basti ricordare i pressanti solleciti rivolti al presidente Aldo Moro  e al ministro Vito Lattanzio).
 Non c’è dubbio che il professore nella esplicazione delle sue funzioni  era dotato di un grande carisma; non si spiegherebbe diversamente perchè ebbe  sempre - nell’esercizio della sua versatile attività - il solerte sostegno  delle autorità sanitarie amministrative, politiche, religiose, ad ogni livello  territoriale, come abbiamo visto.
 Ma accanto alla molteplicità delle iniziative intraprese, il professore  promosse sin dal 1952 anche la nascita e la crescita di due organizzazioni  collaterali che volle istituire per agevolare lo sviluppo dell’Ospedale:  l’istituzione della società medico-chirurgica “Carlo Righetti” per favorire lo  sviluppo dell’ospedale e migliorare la qualificazione dei sanitari, e  l’istituzione dell’AVIS.
 La Società “Carlo Righetti”. Già nel 1952, in una sala deserta  dell’ospedale, il professore decise, con l’adesione di venti medici, di dar  vita ad una associazione finalizzata ad affinare il loro livello culturale e  clinico attraverso una libera discussione su tematiche scientifiche e  sanitarie. Iniziativa arricchita dalla formazione in un’attrezzata biblioteca,  alla quale non erano estranei i cospicui contributi scientifici del  professore.   Già dall’anno della sua costituzione, la Società “Carlo Righetti”  promosse incontri per l’illustrazione di casi clinici di particolare interesse  e incoraggiò talvolta anche la loro pubblicazione, stimolata dalla istituzione  di un “Premio Righetti”, destinato alla relazione clinico-scientifica più  interessante  discussa nel corso  dell’anno. Il professore, a quel tempo, attivò anche un premio per la migliore  tesi di laurea dell’anno accademico in corso, elaborato da uno studente nato o  comunque domiciliato a Barletta.
 L’intento per il quale il professore istituì la Società “Carlo Righetti”,  a ricordo del suo maestro, era quello di conferire un tasso di scientificità ai  sanitari del suo ospedale, sul solco delle migliori tradizioni umanistiche  della scienza medica, per tenere alto il prestigio della professione, nel  richiamo non solo ai grandi medici del passato come Ippocrate, Celso e Galeno,  ma anche con riferimento agli illustri predecessori barlettani che si erano  distinti nel passato, come Giovan Battista Pizzi  nel ‘300, Mariano Santo nel ‘500, Giovanni  Azzariti nel ‘700, Antonio Nanula ‘800, e inoltre Antonio De Giglio, Giuseppe  Gaetano Ricco, Giuseppe Dabundo e  Domenico  Lobello.
 Una iniziativa che nel tempo si rivelerà molto feconda, se fra quegli  associati si conteranno numerose libere docenze.
 La nascita dell’AVIS. Ma in quello stesso 1952, il professore,  con la collaborazione del dott. Formentano presidente nazionale dell’AVIS,  diede vita alla costituzione della sezione avisina di Barletta la prima in  Puglia. Già se n’era reso conto durante la guerra, quando in Albania, aveva  operato in gran numero di feriti, molti dei quali persero la vita proprio per  mancanza di sangue. Ebbe a dire, il professore, in uno dei primi articoli pubblicati  per “Sangue e Vita”: “Voler valutare la  importanza di disporre per ogni evenienza di un flacone di sangue per la cura  di un malato è forse difficile per chi del sangue sa di disporre; ma, ben  diversa è la cosa quando del sangue non si dispone. Posso affermarlo con  certezza specialmente quando a conoscenza di appelli angoscianti e disperati  che ci vengono diretti nella più diverse circostanze. Posso affermarlo con  certezza quando nelle nostre corsie, nelle sale operatorie o nel Pronto  soccorso assistiamo a miracolosi recuperi di vite umane, altrimenti perdute per  sempre. Ecco perché l’AVIS di Barletta, con i suoi donatori compresi fra 18 e  60 anni, appartenenti a tutte le classi sociali, ma in particolar modo ai  giovani e ai giovani studenti, ha contribuito con la sua disinteressata  generosità a realizzare i notevolissimi risultati ospedalieri che conosciamo”. E questo fu il motivo per il quale il professore, agli inizi degli anni  Sessanta, per diffondere il significato etico-sanitario della donazione e per  incrementare il numero delle donazioni a Barletta, si rivolse al mondo dei  giovani studenti dell’ITC “Geremia Di Scanno” e degli universitari della FUCI  (i primi a costituirsi in Italia in circoli avisini) e dei giovani sportivi che  daranno vita al G.S. AVIS-BARLETTA che oltre alla donazione creerà un  foltissimo movimento giovanile sportivo nella nostra città. Ma questa è  un’altra storia.
 
 Renato  Russo
 (4 agosto 2017)
 
            
              
                |  |  |  
                | Febbraio 1952. Il direttore  sanitario dell’Ospedale “Principe Umberto” prof. Ruggero Lattanzio in una  sbiadita foto ricordo con la sua prima équipe. Alla sua destra il direttore  amministrativo dott. Michele Damato, al centro suor Cherubina | Il prof. Lattanzio nel 1952 |  
                |  |  |  
                | 12 dicembre 1954, inaugurazione  ufficiale della prima Emoteca dell’Avis | 23 novembre 1958. Il ministro  Aldo Moro in visita al centro trasfusionale AVIS. Da sinistra: il prefetto di  Bari Cappellini, il commissario dell’ospedale Prezzolini, l’on. Moro, il prof.  Lattanzio e il dott. Damato |  << vai all'indice del canale  |