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L’improvvisa scomparsa di Francesco Salerno lascia un vuoto difficilmente colmabile

Più di ogni altro, scolpito nella memoria di chi c’era, resterà nel tempo il ricordo di quella enorme folla al suo funerale. All’interno della basilica del Santo Sepolcro, le penetranti parole del vicario don Filippo Salvo e la commossa evocazione dell’amico Gammarrota rotta dal pianto, hanno scavato nei nostri cuori dolorose inesprimibili emozioni. E poi fuori, l’interminabile silenzioso corteo, la gente assiepata ai bordi della strada, una gran folla assembrata sotto il palazzo di città per la cerimonia funebre scandita dalle commosse parole del Sindaco Maffei (la sua totalizzante passione, la sua forte personalità), del Presidente del Consiglio provinciale Riserbato (la disponibilità a lavorare per il bene comune), del giornalista Foschini (era un formidabile organizzatore, sempre in prima linea).
Ai funerali c’erano tutti, ma proprio tutti, sinceramente commossi ed increduli, scioccati da un evento così brusco e drammatico, amici e avversari, perché Ciccio ne aveva tanti, degli uni e degli altri… oggi però tutti egualmente rattristati al pensiero della sua improvvisa quanto dolorosa scomparsa.
Difficile immaginare che in quella bara, immobile, nella rigidità della morte, potesse riposare il corpo senza vita di Ciccio Salerno… E allora, appena per un attimo, mi ha attraversato l’illusorio pensiero che lui pure fosse presente alla cerimonia, che ascoltasse le parole dell’officiante e dell’amico, che percepisse la presenza di tanta gente attorno al suo catafalco per tributargli l’estremo saluto, col rimpianto di non averlo più in mezzo a noi con la sua sovrastante statura, la sua ingombrante presenza, le sue forti parole… E come in un film, mentre la funzione procedeva verso il suo epilogo, scorrevano nella memoria di quanti fra di noi l’avevano conosciuto e frequentato, fotogrammi della sua e della nostra vita.
Già, la vita e la consapevolezza della sua precarietà, appesa ad un filo sottilissimo, che la falce di Atropo sempre in agguato recide quando meno te l’aspetti, il destino oscuro che ci sovrasta e di cui sovente dimentichiamo gli imprevedibili presagi nel diuturno inesplicabile scontro di effimeri interessi. Ai quali il celebrante ci richiama quando invita i presenti a scambiarsi un segno di pace, innumerevoli politici presenti alla cerimonia, fino a un attimo prima amici e avversari, nei quali quel richiamo suscita come un moto di meditata consapevolezza della limitatezza delle cose umane. Come un sottinteso invito a ritrovare una sia pur effimera armonia attraverso il pensiero di Lui, del suo ricordo, del suo impegno civico, delle sue battaglie politiche che oggi, di fronte alla drammatica tragedia di una morte prematura, appaiono precarie e vane.
In chiesa, durante la funzione funebre, un silenzio cupo, irreale, ciascuno chiuso nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, memorie di un tempo politicamente dominato dalla sua personalità, di cui solo la morte oggi ne stempera la drastica perentorietà.
Non mancheranno occasioni per approfondire le sue scelte, il suo governo, il suo assolutismo decisionale spesso incurante dei pareri assessorili o in aperto contrasto con i deliberati del partito (una volta la Gazzetta lo apostrofò come “Re Francesco”). Oggi non è tempo di analisi socio-politiche, è tempo di lacrime e rimpianti, oggi è tempo della commozione e del rispetto che si devono verso un uomo che, nel bene come nel male, nelle altalenanti congiunture che la vita riserva a un politico, ha segnato un’epoca, quella della stabilizzazione amministrativa dopo un lungo periodo di incertezze e di instabilità governativa.
Ventidue sindaci in trent’anni, 1970-1997, da Borraccino a Dimiccoli, per coprire sei mandati amministrativi. Certo, la nuova legge 81/93, che disciplinava la nomina diretta del sindaco, avrà pure avuto l’effetto di scoraggiare le continue imboscate che fino allora avevano reso precaria la sopravvivenza di qualsiasi giunta. E tuttavia, con quella stessa legge, non avevano retto Fiore e Dimiccoli, vittime ancora una volta dei giochi di palazzo… Poi venne Salerno. Eletto nelle tornate del 16 e 30 novembre ’97, insediò la sua giunta il 16 gennaio ’98: durerà quasi sette anni: si dimetterà infatti nel febbraio 2005 per candidarsi al Senato.
Scorro rapidamente l’elenco dei sindaci che hanno retto l’amministrazione comunale cittadina nel ‘900: fra sindaci e podestà 48, senza contare i commissari prefettizi (9 podestà e 39 sindaci di cui 11 nell’anteguerra e 28 nel dopoguerra). Viene spontaneo  chiedersi quanti hanno lasciato una traccia indelebile del loro passaggio. Tra questi certo Salerno, una di quelle figure delle quali non si potrà mai dire che abbiano lasciato le cose così com’erano prima del loro avvento. E questo a prescindere dall’apprezzamento delle loro azioni e dal consuntivo del loro mandato elettorale, in un campo - come quello politico - dove le valutazioni sono spesso diametralmente opposte.
“Il suo grande cuore”, ha ricordato qualcuno! Eppure, un cuore che lo ha tradito proprio quando, dopo essere andato in pensione, si apprestava a scendere nuovamente nell’agone politico, leader del movimento LA BUONA POLITICA, col quale aveva appena un anno fa partecipato alla consultazione elettorale, candidato del suo gruppo alla presidenza della nuova Provincia. Non ci era riuscito, ma aveva fatto eleggere in quel consesso tre esponenti, svuotando con la sua lista civica la consistenza elettorale del PD e ridimensionando, a destra, un più cospicuo successo del PdL.
La presenza, alle esequie, oltre che del Sindaco di Barletta e delle autorità politiche locali, anche di quelle provinciali e regionali, la presenza di diversi sindaci del nostro Comprensorio e le numerose attestazioni di cordoglio pervenute anche da Roma, ci ricordano come Francesco Salerno sia stato, oltre che un leader locale, anche un capo politico di livello regionale con una legittima aspirazione a rappresentare la nostra terra pure a Roma.
Aspettativa disattesa sì da una presa di posizione del suo partito in occasione delle Politiche del 2005, ma tradita pure dal suo temperamento allergico a ogni forma di dipendenza gerarchica e poco tollerante dei condizionamenti burocratici nei quali talvolta le segreterie politiche cercavano di imbrigliarlo. Indipendenza di pensiero e di azione, manifestati con rigore caratteriale, ch’erano al tempo stesso la sua forza ed il suo limite.
La scomparsa di Ciccio Salerno… Chi lo ricorda per la sua umanità, chi per la sua personalità, chi per la sua ostinata volontà, chi per le sue arrabbiature vulcaniche, chi per le sue capacità organizzative, chi per il suo carisma…
Sì, Francesco è stato tutto questo, e altro ancora, ma soprattutto è stato un leader politico che per sette anni e per due mandati amministrativi, ha governato la città con piglio sovrano e grande determinazione realizzativa. Di questo soprattutto la città gli sarà grata e lo ricorderà, col rimpianto di non averlo più tra di noi nelle future battaglie politiche che lo avrebbero certo visto fra i suoi protagonisti.

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Quelli che prevalgono, subito dopo la sua scomparsa, a caldo, sono i momenti affettivi, ma - col passare dei giorni - emergeranno anche i danni che politicamente questa scomparsa comporterà, il gran vuoto ch’egli lascia nella città e nella nuova provincia.
Noi abbiamo sempre lamentato la mancanza di una classe politica che contasse a livello regionale e nazionale. Carenza certo frutto di una mentalità invidiosa che ne frenava il cammino, per la inveterata propensione dei politici locali a soffocare sul nascere qualsiasi tentativo di crescita dei possibili rivali, ma anche - probabilmente - per la limitatezza temporale del mandato dei nostri sindaci che negli ultimi trent’anni hanno retto il timone della cosa pubblica mediamente per uno-due anni.
Per Salerno è stato diverso: un po’ per la nuova legge, molto di più per la fermezza del suo temperamento, la sua lunga presenza a palazzo di città aveva saputo creare una rete di conoscenze d’alto profilo di cui restano significative testimonianze le foto che lo ritraggono accanto al Presidente del Consiglio dei Ministri Massimo D’Alema, al Ministro dell’Interno Giorgio Napolitano, al Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi.
Quando ci rammarichiamo di essere privi di una classe politica adeguata, di leader autorevoli e preparati, non possiamo certo pensare a Salerno che, invece, pur nelle asprezze di certi suoi eccessi temperamentali, era dotato di una forte, diciamo pure “prepotente” personalità, e perseguiva i suoi obiettivi con incrollabile fiducia e determinazione operativa nel raggiungimento dei suoi obiettivi.
Dopo la sua scomparsa non solo la città ha perso una notevole personalità politica, ma anche la nuova realtà provinciale è restata priva di un suo incisivo protagonista.
Ne sentiremo la mancanza.

Renato Russo
(15 settembre 2010)

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