| Toponomastica  e dimenticanze: Sabino Castellano e se gli  intitolassimo l’Antiquarium di Canne?
 
 Mi  sono giunte contestualmente da Palazzo di Città due comunicazioni che ho  trovato in stridente contrasto fra di loro, ancorché espressione di due  manifestazioni di grande impegno culturale da parte dell’Amministrazione  Comunale. Da una parte la notizia della convocazione della Commissione  consiliare delle attività produttive e dall’altra l’elenco delle intitolazioni  delle nuove strade della toponomastica cittadina. La mia attenzione è stata  subito attirata dalla auspicabile presenza di tre grandi personaggi del  Novecento fin qui dimenticati: Sabino Castellano, il ricopritore del sito di  Canne della Battaglia, il prof. Ruggero Lattanzio, al quale fin qui è stata  intitolata più che una strada, un tratto di muro in cemento armato in  prossimità dell’ospedale (per la dignità del grand’uomo sarebbe preferibile  rimuovere l’oscena intitolazione) e il grande tipografo-editore Valdemaro  Vecchi. Presente quest’ultimo (sia pure ricordato da una stradina periferica e  non ancora da una iscrizione lapidaria all’ingresso di palazzo S. Domenico),  ignorato il secondo, assente Sabino Castellano.Soffermiamoci  su quest’ultimo. Partiamo male - ho pensato - se mentre è convocata una Commissione  consiliare con la prospettiva del rilancio del sito cannense, si continua a  ignorare chi, negli anni Venti del ‘900, fece riscoprire all’Italia intera (lo  dico senza enfasi, ma fu proprio così) il sito del più famoso scontro  dell’antichità, la battaglia di Canne. Perché tutto parte di lì, dalle sue  ricerche, dai suoi studi, dalla sua famosa relazione letta all’Accademia dei  Lincei nel maggio del 1922.
 Lo  sconforto che ci prende quando ci accorgiamo della sua mancanza, ci viene dalla  constatazione che per tanti anni l’illustre personaggio era stato ricordato  durante l’amministrazione Salerno prima, Maffei dopo, con l’impegno da parte di  tutti di non mancare di dare il giusto rilievo all’esimio professore, alla  prima occasione dell’aggiornamento viario della nostra toponomastica. Il che  non è avvenuto e speriamo si faccia ancora in tempo a rimediare. Poiché però  non siamo mossi da intenti critici verso questa dimenticanza, ma propositivi,  ci sia consentito di fare una proposta riparatrice a questo difetto di memoria,  cioè l’intitolazione del prof. Sabino Castellano all’Antiquarium di Canne  (ancorché chiuso in questo periodo) poiché quello fu il luogo delle sue  escursioni, dei suoi studi e delle sue scoperte.
 Poiché  però non è detto che tutti conoscano il personaggio, consentiteci di ricordarne  per sommi capi la fisionomia di uomo e di ricercatore. Sarà interessante, con  la riscoperta dell’appassionato studioso, ricordare anche il suo tempo (son  passati quasi cent’anni!)
   Disseppellì Canne dall’oblio Nacque a Barletta il 31 ottobre 1898 da Mariano  Castellano e Giuseppina Ricatti, maestra elementare, i quali ebbero tre  figliuoli maschi: Sabino (ma in realtà sul certificato di nascita è scritto  Savino), Nicola e Antonio che emigrò in America e di cui non se ne seppe più  nulla. Nacque in via Meale da Paliano 3 (in seguito via Miale da Troia), una  delle case del borgo di S. Maria, da una famiglia di vecchie tradizioni  marinare; suo nonno infatti era stato un piccolo armatore nonché capitano di  velieri in navigazione per le rotte delle Americhe. Frequentò le scuole elementari alla “d’Azeglio”,  le medie e il liceo Ginnasio alla “Andrea Bonello” (oggi “Casardi”), quindi si  iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Roma. Interruppe gli studi  perché chiamato alle armi nell’ultimo periodo della Grande Guerra, alla quale  partecipò come sottotenente restando ferito sul Grappa.
 Ritornato dal fronte e ripresi gli studi  universitari, avvicinandosi alla laurea, scelse come tesi “Canne e la ricerca  del suo sito topografico”, dov’era stata combattuta la celebre  battaglia. E fu così che, basandosi sugli  scritti di Livio e Polibio, agli inizi del 1920, iniziò insieme al dott. Vito  Lattanzio e ad altri pochi volenterosi, saggi di scavo sulla collina, portando alla luce quella che chiamò l’Acropoli della Cittadella, della quale  sino ad allora era stata addirittura messa in forse la stessa esistenza.  Inoltre affiorarono, da quelle ricerche, resti di costruzioni romane, necropoli  paleolitiche, oggetti bizantini, vasi attici, monete e utensili che egli donò  al Comune di Barletta e al Museo di Taranto, in questo lavoro assistito e  incoraggiato da mons. Salvatore Santeramo, col quale condivideva la casa  (Santeramo al primo piano e la famiglia di Sabino Castellano al secondo piano).
 Dopo essersi brillantemente laureato presso  l’Università di Roma - nel luglio del 1921 - poiché gli esiti delle sue  ricerche avevano sensibilizzato alcuni ambienti della cultura scientifica ed  archeologica del mondo accademico romano, fu invitato a illustrare una sua  memoria su Canne dinanzi all’Accademia Nazionale dei Lincei. Della sua  esposizione, tenuta il 21 maggio del 1922, introdotta dal famoso storico Ettore  Pais, è restata una documentazione nel XXXI volume dei “Rendiconti della Regia  Accademia Nazionale dei Lincei”.
 Oltre che per il suo interessamento verso la  riscoperta dell’antico sito archeologico, il giovane Castellano si distinse per  il suo impegno sociale e culturale. Infatti nel 1921 diventò vicepresidente  regionale della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, mentre nel 1922  contribuì alla fondazione dell’Università Popolare di Barletta (propugnata anni  prima dal prof. Francesco Paolillo), della quale fu eletto segretario.
 Nel 1925, con Vito Lattanzio, Michele Cassandro,  mons. Santeramo ed altri, fu fra i soci fondatori dell’Associazione Amici  dell’Arte e della Storia Barlettana, di cui diventò segretario. Coi soci  dell’associazione quella stessa estate e in quelle successive, procedette a  nuovi scavi che, nel 1930, portarono al ritrovamento del decumano, la strada  principale della Cittadella, di numerose colonne, di un pavimento a mosaico di  circa 30 mq e del famoso miliare LXXV della via Traiana, oggi in bella vista  sull’alto della collina, oltre ad una pietra sepolcrale con bassorilievo ed  iscrizioni romane.
 Anche di questi ritrovamenti, avvenuti nel  giugno-luglio 1930, Castellano stese una relazione scritta intitolata Gli scavi di Canne, che fu pubblicata  sulla rivista “Il mondo classico”. Il testo è breve, asciutto e stringato, senza  alcuna concessione allo stile enfaticamente ampolloso del tempo. L’autore  divide la sua concisa monografia in tre parti: La collina di Canne, Il terreno sulla sinistra dell’Ofanto, Il terreno  sulla destra del fiume. Di grande interesse è un passo in cui Castellano  descrive i primi scavi.
 La monografia capitò nelle mani del giornalista  del “Corriere della Sera” Aldo Valori, un’autorevole firma della stampa  nazionale, il quale scese in Puglia e l’8 luglio fece una ricognizione sul  cantiere degli scavi insieme al Castellano e a un gruppo di amici  dell’Associazione, visita dalla quale il giorno dopo trasse un articolo per il  suo quotidiano, dando così al sito notorietà nazionale, tanto che fra Roma e  Bari, si convenne di assegnare al prof. Michele Gervasio, direttore del Museo  archeologico provinciale, il compito di condurre, dall’autunno di quello stesso  anno, una sistematica campagna di scavi. Ma questa è un’altra storia.
 Castellano dimenticato  Quante ricerche su Canne, a cominciare dalle  campagne archeologiche degli anni Trenta del prof. Gervasio e quelle degli anni  Cinquanta-Sessanta della dott.ssa Fernanda Bertocchi. E dopo di loro, una vera  colluvie di studi, di monografie, di convegni, la esplorazione archeologica  della Cittadella ad opera della Sovrintendenza alle antichità (dott.sse Radina  e Corrente) e campagne di scavi da parte della locale sezione dell’Archeoclub  d’Italia. Ma anche films e romanzi ambientati sulla storica collina, senza dire  delle migliaia di turisti che visitano il sito ogni anno. Quante rievocazioni  celebrative, ogni due agosto, e mai uno studio, un convegno, che dico, una  semplice conferenza sul giovanotto che tanti anni fa, con la sua passione,  riaccese la luce sulla collina brulla e dimenticata dell’antica cittadella!  Renato Russo
 (24 ottobre 2013)
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