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La caduta del sindaco Maffei.
Quel suicidio (politico) annunciato

Ho appena finito di assistere alla conferenza stampa convocata dal sindaco Maffei per spiegare, dal suo punto di vista, la sfiducia sottoscrittagli da 19 consiglieri comunali che hanno decretato la fine anticipata del suo mandato sindacale, e francamente sono restato un po’ deluso dal tenore del suo intervento incentrato esclusivamente sul “tradimento” dei firmatari, tutti destinatari - a suo dire - di cariche ed onorificienze, prebende e gratificazioni, mal ripagandolo di tanta generosità, senza alcun cenno, neppure larvato, a sue possibili responsabilità.

Una cosa mi sento di condividere della appassionata difesa del suo operato, la circostanza che la sua caduta dovesse avvenire in aula, alla luce del sole, offrendo l’opportunità ai cittadini di capire quello che accadeva dopo un dibattito franco e costruttivo sul bilancio che andava approvato, salvo puntigliosi chiarimenti e resa finale dei conti, senza dare l’impressione di un agguato organizzato da tenebrosi congiurati. Ma forse gli organizzatori del putsch hanno avuto timore di ripensamenti dell’ultim’ora.
Dopo il risentimento verso i “traditori” (sic), il coturnato consuntivo di sei anni e mezzo di amministrazione, con l’augurio finale alla città, al commissario, al prossimo sindaco e la catartica richiesta di espulsione dal PD dei reprobi. Nessun ripensamento, invece, sulla sua conduzione, nessun cenno ai suoi possibili errori, al suo personale modus gubernandi. Il sindaco si è soffermato sulle cose viste nella sua ottica, cioè come sono sembrate a lui, dal suo punto di osservazione, ma se appena andassimo in profondità, ci sarebbero altre considerazioni da fare sulla inadeguatezza, di parte almeno, della sua gestione. 
Non facciamo dietrologia, sindaco, te lo dico con grande disinteressata sincerità, ma ritengo francamente che, aldilà della esteriorità dei fatti come ce li hai raccontati (e dal tuo punto di vista saranno pure attendibili) a guardare le cose con maggiore attenzione, è come se te la fossi andata a cercare tu stesso, la tua rovinosa caduta, disattendendo ogni suggerimento, isolandoti progressivamente, manifestando sospettose prevenzioni verso chiunque. Io pure, del resto, in tutti questi anni – sempre meno negli ultimi -  ho cercato di darti qualche consiglio, cozzando sempre contro un impenetrabile muro di inesplicabile diffidenza. 
Per averne una recente conferma, basterà rileggere le cronache degli ultimi tempi nei resoconti della Gazzetta, gli accorati appelli degli amici oppure gli irati attacchi degli avversari, ma comunque sempre finalizzati a chiedere al sindaco di ascoltare le voci che gli venivano dalla maggioranza come dalla minoranza, da espressioni di realtà associazionistiche come dal libero pensiero di disinteressati professionisti. Da tutti sempre lo stesso invito all’ascolto, al dialogo, per poi decidere, programmare, fare, realizzare. In ogni caso l’invito a non essere considerati detrattori sol perché venivano espresse valutazioni non conformi alle sue. Col passare del tempo sei restato sempre più solo.
La spiegazione offertaci in conferenza stampa, con un taglio autoassolutorio della tua caduta, il tradimento (come l’hai più volte chiamato) di chi avevi tanto gratificato, è alquanto riduttiva e potrebbe andar bene per uno o due consiglieri, ma non ci pare applicabile ad uno schieramento così vasto e indifferenziato quale quello che - tu stesso paradossalmente - sei riuscito ad amalgamare, sia pure per il tempo strettamente necessario a condensare il malumore in una rovinosa sfiducia.
Ecco perché riteniamo che il sindaco, alla fine, se la sia voluta anche lui la sua fine, con l’aggravante di quella drastica difesa a oltranza di chi lo aveva affiancato per tanti anni interpretandone – e condividendone - il lato più oscuro del retroterra gestionale. Lungi da me la voglia di infierire, ma le modalità operative del suo braccio operativo avevano raggiunto negli ultimi tempi livelli intollerabili, sfociati alla fine in un episodio che - per quanto (forse) legittimo sul piano strettamente istituzionale, non lo era certo su quello delle opportunità contingenti e rappresentava comunque l’ennesima espressione di una mentalità verticistica e antidemocratica.
È in circolazione, da qualche giorno, l’ultimo numero del bollettino del Comune PPB, cioè “Prima Pagina Barletta”, dove, annunciando tutte le novità amministrative in arrivo nei prossimi mesi, campeggia il titolo E ORA RIPARTIAMO. Sembra grottesco, uno scherzo, e invece è la certificata riprova che il sindaco non si aspettava quest’epilogo traumatico alla sua lunga, settennale esperienza. Per capirne di più converrà risalire alle origini, e non per il mero piacere di una compiaciuta ricognizione della storia di questa conclusione annunciata, ma per cercare di esorcizzare il pericolo che possano ancora crearsi le premesse per la riedizione di una simile calamità, una paralisi gestionale amministrativa protrattasi per un così lungo periodo.

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Già nel corso della prima legislatura la gestione della amministrazione si era caratterizzata per un modo verticistico di condurre l’esecutivo, senza alcun rispetto del ruolo degli assessori né tanto meno dei partiti che li avevano espressi. Ricordo che già dai tempi del suo primo mandato i leader più rappresentativi della maggioranza, consapevoli del grave errore commesso con quella scelta, lamentavano di dover attendere cinque anni per ripristinare, a Palazzo, le più elementari regole di democrazia. E invece, inspiegabilmente, chissà per quale oscuro sortilegio, illusi che il sindaco potesse cambiare mentalità - o forse - per carenza di una candidatura convergente, gli rinnovarono la fiducia per un secondo mandato con l’assicurazione - per parte sua - di un suo ravvedimento circa la mancata collegialità del momento gestionale, mentre non solo l’operatività al Palazzo non si modificò per nulla, ma anzi, peggiorò perchè il sindaco e  il suo aiutante di campo ripresero ben presto una gestione assolutistica, niente affatto rispettosa né delle indicazioni dei partiti né delle segnalazioni che pure garbatamente venivano indirizzate dalla base più rappresentativa della società, come sindacati, associazioni di categoria, valutazioni della stampa libera o di semplici cittadini. Non ricordo che in tutti questi anni abbia mai preso in considerazione alcun suggerimento e questa circostanza - sindaco - non mi par giusto che nel corso della tua conferenza tu l’abbia ignorata.
 
Ricominciamo dalle regole
Il sindaco oggi si ferma invece ad analizzare gli ultimi sviluppi di una situazione che è degenerata fino alla sua ineluttabile conclusione, ma dimentica gli anni che hanno contribuito a creare questo traumatico epilogo. Io credo che qui sia il nodo del problema, la concezione assolutistica che il nostro primo cittadino ha introdotto a Palazzo di città, col radicato convincimento di non dover dar conto a nessuno e che la sua fosse una forma di monarchia assoluta e non l’espressione di una democrazia partecipata.
Con qualche aggravante, alcune di tipo caratteriale ed altre puramente gestionali. Caratterialmente diffidente, non ha mai consentito a chicchessia, neppure a quegli amici che pure fin dalla prim’ora lo avevano sostenuto con la forza del loro sostegno morale ed elettoralistico; e quanto alle modalità di conduzione della macchina amministrativa, deplorevole quell’affidarsi esclusivamente ad un capo di gabinetto con pieni poteri, con la convinzione, lui pure, di dispensare favori e non garantire diritti, persistente contegno che ha finito con l’inasprire i già tesi rapporti coi leaders che pure un tempo lo avevano sostenuto.
Sottolineare questi aspetti, ricordare questi antefatti, non è puro esercizio di retrodatante retorica politica, ma serve a richiamare l’attenzione sulla scelta del nuovo inquilino a Palazzo di città, al quale bisognerebbe ricordare con grande chiarezza, magari con l’affissione di un vistoso cartello nella sua stanza, che esercitare le funzioni di sindaco non significa praticare un ruolo insindacabile, ma di rappresentanza popolare elettiva e che le gratificazioni che si dispensano dal Palazzo non vengono dalla benevolenza del sovrano a cui sia dovuta riconoscenza, ma espressione dell’esercizio di democratico potere che gli viene dal popolo; come le somme che sono chiamati ad amministrare, non appartengono a loro libero utilizzo.
Ancora oggi non riesco a capire perché il nostro sindaco, pur di fronte ad una unanime volontà di base, ha sistematicamente ignorato le indicazioni popolari largamente convergenti per imporre la sua volontà. Perché per tutti questi anni ha ostinatamente ignorato la unanime volontà dell’associazionismo cittadino (oltre cinquanta associazioni) che reclamavano un museo tradizionale, per intimarci la volontà di una sola consulente che ha finito con l’imporci una sua personale idea di museo niente affatto tale, ma tuttalpiù una seconda pinacoteca camuffata da museo, con l’esposizione estemporanea di qualche rado pezzo della Collezione “Cafiero”.
 Perché ignorare sistematicamente consulenze di registi che si stanno facendo onore su un palcoscenico europeo, per favorire sempre la stessa esperta bibliofila, ma con scarsa esperienza in altri settori culturali e inadeguata sul piano storico (come quando per poco non ci convinceva che il castello era aragonese, ignorando che Carlo V era un asburgo!), con l’aggravante di avere un atteggiamento ostile verso la cittadinanza che l’ospitava,  tacciata di gretto provincialismo. Perché spendere e spandere somme - per prestazioni supervalutate - a beneficio di ditte e professionisti esterni, in danno di quelle locali, col duplice pregiudizio morale sulla loro disistima, ed economico in tempi così difficili per la stessa sopravvivenza di molte realtà culturali cittadine.
Sono pochi ma significativi esempi dei tanti che si potrebbero portare per sottolineare come il nostro sindaco, anziché sforzarsi di interpretare la volontà della cittadinanza grazie alla quale era stato chiamato a governare, imponeva invece indirizzi frutto del suo estemporaneo criterio personale, per nulla riflettendo sulle conseguenze negative di certe scelte, sicuro della insindacabilità del suo operato da parte delle forze politiche e consiliari, facendosi forte del timore dei consiglieri comunali di non essere più rieletti, in caso di caduta dell’amministrazione (questo è il vero motivo per cui la giunta non è caduta prima).
Forte di questa polizza assicurativa a scadenza quinquennale, ha così amministrato con un atteggiamento esasperatamente personalizzato, in netta controtendenza contro l’orientamento democratico e propositivo di quanti invece, a lui vicini (e io mi reputavo tra questi), si appellavano con espressioni amichevoli, alla ricerca di un’apertura al dialogo, mentre la risposta, invariabilmente, dal Palazzo, era sempre la stessa, la chiusura più ermetica a qualsiasi disponibilità.

Voltiamo pagina e pensiamo al futuro
Ora c’è grande bagarre nei partiti attorno alle prospettive future e temo che si stia facendo lo stesso errore delle altre volte, cioè ricercare l’uomo della provvidenza e non i criteri selettivi per ricordare a noi stessi e ai futuri candidati le regole della democrazia. Anche se sono consapevole che non è facile. Perché un tempo un sindaco era l’espressione di una selezione di valori, di qualità umane e di esperienze politiche anche al di sopra di un mero calcolo aritmetico di potere, criteri coi quali vennero scelti personaggi dello spessore di un Peppino Palmitessa, al di sopra di strategie correntizie, perché egli non rappresentava che sé stesso, eppure il suo carisma lo collocava in una posizione privilegiata, al di sopra di meri calcoli di bottega.
Oggi invece, purtroppo, temo che a prevalere siano le logore regole dei numeri e delle percentuali, del puro esercizio muscolare della forza delle rappresentanze tesseramentarie. Tavolta invece - altro errore -  si propongono nomi altisonanti ma che non hanno alcuna esperienza pratica della gestione amministrativa, oppure errori clamorosi come quello di indicare un grande atleta del passato che non vantava alcuna esperienza di pratica di governo. Alle stesse riflessioni ci inducono certe voci che riferiscono di scelte che si orienterebbero su noti professionisti di alto rango scientifico, oppure imprenditori di successo o stimati burocrati in pensione, come se ci si potesse improvvisare manager della cosa pubblica. Non è la stessa cosa.
Certo non sarà semplice fare queste scelte, ma intanto, per carità, lasciate perdere lo stupido criterio della applicazione automatica della indicazione generazionale, quando non supportata da un adeguato background di comprovata esperienza. Ci sono ancora dei politici capaci ed onesti, che abbiano disponibilità di tempo per assumere degli impegni gravosi, esperti dotati del senso dello Stato nonché della necessaria esperienza per reggere la cosa pubblica con dignità, competenza ed efficienza; oppure manager che, sia pure in campo commerciale o industriale, abbiano però dato ottima prova di sé coniugando volitività e perizia, senso della misura e capacità programmatoria. Ma soprattutto disinteresse, in un mondo politico in cui è diventata ormai prassi consolidata una regola comportamentale abituale, quella di approfittare del proprio ruolo per un indebito arricchimento.
Su future plausibili candidature facciamoci un pensierino, prima di proiettarci in chimeriche prospettive, per evitare gli errori del passato. Una volta tanto sforziamoci di pensare alle necessità della nostra città, alle sue incerte nebbiose prospettive, anziché fare meri calcoli utilitaristici.


Renato Russo
(1 novembre 2012)

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