| Attraverso il saggio di  Russo,
            Fonseca spiega Iorio
 L’ottuagenario  Fonseca l’ha detto anche di se stesso, recentemente. Uno storico, a un certo  punto della sua parabola biografica, sul declinare della sua vita di studioso,  dovrebbe avere la forza intellettuale di ritrarsi da conferenze e miscellanea  di scritture varie, e soprattutto dall’intraprendere nuove strade di ricerche  storiografiche, per dedicarsi a riordinare i propri studi pregressi, gli studi  di una vita, per ricostruirne organicamente una trama compiuta, una  classificazione antologica tematica. E invece una frenetica quotidianità ti  avvolge nelle sue spine, ti prende nel vortice delle sue pressanti scadenze,  così finisci con l’essere condizionato dalle numerose sollecitazioni esterne  che ti distraggono da questo estremo imprescindibile impegno, nel tentativo di  dare un senso compiuto all’esito delle tue ricerche riepilogative di una intera  esistenza.Nel dare atto a Russo del suo accurato e  approfondito lavoro, Fonseca coglie l’occasione per delineare il carattere di  Iorio e la sua forza intellettuale e morale, il suo rigore di ricercatore, il  suo amore - celato da un sobrio distacco emotivo - verso la sua città alla  quale, come novello Alighieri per Firenze, non risparmia vivaci rimbrotti e  pungenti rampogne, denunciandone la scarsa sensibilità (un eufemismo per non dire  di una vera e propria indifferenza), per una valorizzazione autentica e non di  facciata, per i suoi innumerevoli tesori d’arte, di storia e di cultura. Non  per nulla il saggio bio-bibliografico di Russo si apre con la citazione di una  terzina dantesca: “facesti come quei che  va di notte / che porta il lume dietro e sé non giova, / ma dopo sé, fa le  persone dotte”.È quello che è  accaduto a Raffaele Iorio, e Fonseca lo fa intravedere in questa come in altre  occasioni rievocative del nostro stimatissimo storico nel corso dei suoi  incontri con Russo preparatori alla sua penetrante e dotta prefazione: Canne  della Battaglia, Federico II e le Crociate, gli Ordini Cavallereschi, la  Disfida di Barletta, il 12 settembre del ’43 e così via… Iorio ha dedicato a  ciascuno di questi temi (e molti altri ancora) numerosi studi monografici,  senza però poi, al termine della sua vita, trovare il tempo per raccoglierli  fra di loro (colligite fragmenta), di  ciascuno offrendo una interpretazione organica, nel quadro della ricostruzione  di un più ampio scenario che delineasse un grande affresco storiografico, la  rilettura storica della sua città d’adozione, Barletta, sullo sfondo di un  orizzonte più ampio, quello della sua e nostra regione, la Puglia.
 C’era già  stato, in passato, un tentativo celebrativo del ricordo di Iorio, da parte  della locale sezione della Società di Storia Patria, della quale il Nostro era  stato presidente per due mandati (1998-2004). Una monografia che non aveva però  spinto la sua indagine oltre i limiti di una mera trascrizione di saggi su  Canne, mentre questa di Russo - a detta del noto cattedratico lucano - è invece  un vero saggio storico, di indiscutibile spessore scientifico, come già per  altri suoi studi su altri personaggi notevoli della nostra storia cittadina  (Niccolò Fraggianni, De Nittis, Mennea) o pugliese (Federico II, Boemondo  d’Altavilla, Isabella d’Aragona).
 Egli, infatti, dopo essersi intrattenuto sulla  vita e le opere di Iorio, con spunti interpretativi del suo carattere  adolescenziale di gesuitica formazione, si addentra nell’analisi dei diversi  campi nei quali lo studioso ha approfondito la sua ricerca, senza escludere  pagine di grande interesse come quelle sul filologo o sul pubblicista ed altre  nelle quali ha ricostruito i suoi difficili rapporti col mondo accademico  barese.
 Renato  Russo(18 dicembre 2014)
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