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Raffaele e Filippo Esperti,
patrioti dei moti napoletani del 1820

                                                                   
Anche Barletta partecipò ai moti del 1820 che portarono alla condanna a morte degli ufficiali Morelli e Silvati, i quali facevano parte di quel movimento irredentista ch’era peraltro partito da una reticente concessione da parte di Ferdinando di un regime democratico, come quello appena concesso dalla monarchia iberica. Incerte e contraddittorie promesse del Sovrano, il quale aveva tenuto un atteggiamento opportunistico e ambiguo, a seconda delle circostanze nelle quali veniva a trovarsi: liberale quando ebbe paura che il movimento insurrezionale lo travolgesse, bieco e sordo a qualsiasi apertura quando si sentì tutelato dalla politica reazionaria di Metternich che gli inviò anche un esercito per garantirne la corona. Fra gli ufficiali che più si esposero a capo di una rivolta diretta ad ottenere la Costituzione,  primeggiavano Morelli, Silvati e i due nobili fratelli barlettani Raffaele e Filippo Esperti,  Raffaele aiutante di campo del col. Gennaro Celentano e Filippo tenente dei Dragoni.
S’adoperarono, essi, soprattutto nel ceto militare, al fine di promuovere una forte azione indipendentistica e si sospinsero tanto oltre nell’esplicita manifestazione delle loro convinzioni libertarie, che quando ormai era chiaro che il re non aveva alcuna intenzione di mantenere la parola e di concedere la Costituzione, e anzi aveva quella di reprimere i moti con inesorabile spietatezza, essi furono ritenuti ribelli e traditori: imprigionati e processati, furono condannati a morte. La sentenza fu eseguita per Morelli e Silvati, mentre per l’appartenenza dei fratelli Esperti all’alta nobiltà napoletana, e per le pressioni della famiglia, la condanna fu tramutata in trent’anni di carcere duro.

Raffaele Esperti, avviato alla carriera ecclesiastica, per i moti politici del 1808 e per la soppressione degli Ordini religiosi ormai prossima, essendo stato educato con il fratello Filippo, più piccolo di due anni, nel collegio dei Teatini in Napoli, ritenne più opportuno ritornare in famiglia. In casa, i due giovani ebbero modo di ammirare le eleganti divise e le brillanti decorazioni degli alti ufficiali del comando francese di stanza a Barletta, che frequentavano il loro salotto, e sentirono tutto il fascino e l’ammirazione non solo per la scapigliata audacia e spregiudicatezza di tanti loro coetanei, ma delle battaglie, che avevano combattuto e vinto con Napoleone.
Raggiunta la maggiore età, arruolati, Raffaele diventò porta-stendardo, prese parte alla Campagna di Russia e poi d’Italia agli ordini di Gioacchino Murat del 1815; a quest’ultima partecipò anche Filippo con il grado di tenente, e tutt’e due furono insigniti dell’Ordine delle Due Sicilie per il valore dimostrato sul campo. Alla Restaurazione furono incorporati nei quadri del reggimento Regia Cavalleria, e quindi passarono nei Dragoni per la loro prestanza fisica.

Ai moti del luglio 1820 essi furono fra i primi promotori dell’insurrezione armata guidata da Morelli e Silvati. Quando fu repressa, in un primo momento sembrò che il sovrano assumesse un atteggiamento benevolo, atteso che in un primo momento aveva simulato la concessione della Costituzione, tanto che con l’editto del 30 maggio 1821 concesse un’ampia amnistia. Tranne che ai militari di Monteforte, arrestati il 5 giugno 1821 a Capistrano in Terra di Lavoro, dove erano nascosti oltre a Morelli e Silvati, i fratelli Esperti. Sotto la grave imputazione di tradimento, furono sotto buona scorta condotti a Napoli nelle carceri di S. Francesco, ed il 10 settembre 1822, su richiesta del procuratore generale della Gran Corte Speciale, condannati a morte “con il terzo grado del pubblico esempio”, per cui furono trasferiti alla Vicaria.
La sentenza capitale, emessa da quel supremo Tribunale, a cui il re aveva devoluto l’incarico di agire con energica spietatezza contro i ribelli di Monteforte, presieduto dall’ambizioso e perfido Girolami, pubblico ministero Brundisini, doveva essere eseguita in Santa Maria Capua Vetere. La sentenza fu eseguita per Morelli e Silvati il 12 settembre, mentre i due Esperti, condotti nella cappella, raso il capo e con gli abiti da forzati, attendevano con fortezza d’animo il momento della esecuzione, tra il ludibrio della teppaglia e le esaltate consorterie borboniche.
La loro sentenza fu invece sospesa per la supplica elevata dal padre Giorgio, regio Portulano di Puglia. Così Ferdinando, nella stessa giornata, mentre ratificava la condanna a morte di Morelli e Silvati, che furono giustiziati, commutava la pena per i fratelli Esperti a trent’anni di lavori forzati da scontare nell’isola di Ponza.
Dopo due anni di quella dura reclusione, con altri condannati politici, salito al trono Francesco I, i due fratelli furono trasferiti alla Favignana, venendo ridotta a semplice relegazione la loro detenzione. Otto anni dopo, nel maggio 1831, Ferdinando II concedeva loro la grazia.
Cosi dopo due lustri di stenti e sofferenze, i due fratelli ritornarono a Barletta tra l’indifferenza dei concittadini ed il sospetto delle autorità, per cui Raffaele si chiuse in uno sdegnoso mutismo, conforme alla sua indole ed all’inclinazione monastica che fin dal primo tempo aveva avuto. Si spense il 28 novembre 1840 col conforto della religione, purtroppo prima ancora di vedere l’alba della fine del regime borbonico.
Filippo, di carattere più duttile, aspettò tempi migliori che vennero nell’ottobre del 1849 quando il generale Colonna, gli propose il comando della Guardia Nazionale. Ma frattanto, tornato ligio ai Borboni, respinse l’offerta e nel 1850 accettò invece il comando del 13^ Squadrone della Guardia d’Onore della nostra provincia, che resse fino ai moti del 1860.
Non era stato estraneo a questa nomina il fratello Giovanni (1795-1860) il quale, avviato anch’egli alla carriera militare, dopo le disavventure di Filippo e Raffaele, era venuto in sospetto al governo borbonico tanto da rimanere sottotenente per sedici anni, e solo con l’avvento di Ferdinando II, che lo teneva in grande considerazione, in meno di vent’anni diventò generale comandante di tutta la Cavalleria dell’esercito delle Due Sicilie e apprezzato governatore dell’isola. Quando seppe dello sbarco di Garibaldi a Marsala era ammalato e confidò ad un amico di aver ringraziato Iddio di trovarsi in quello stato, perché non gli reggeva l’animo di prendere le armi contro l’unità d’Italia, questo almeno riferiscono le cronache. Morì alla fine di maggio 1860.           
Uomo di studio, trattò parecchie opere di argomento militare, che lasciò manoscritte. Barletta onorò nel 1837 il suo ricordo dando il nome ad una via, già vico IV Borgo Nuovo.
Quanto a Filippo, morirà due anni dopo, il 10 luglio 1862.

Renato Russo
(10 dicembre 2017)

Colonnello Giovanni Esperti

Barletta, Palazzo della Sottintendenza (di fronte a S. Domenico)

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