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 Opaco scenario politico cittadinola politica sempre più distante dalla città
  Spesso mi chiedono perché il giornale dedica  poco spazio alla politica: per due motivi. Primo perché la classe politica sia  di destra che di sinistra, indifferentemente, è del tutto insensibile alle  valutazioni giornalistiche specialmente se sono critiche, ancorché propositive;  e in secondo luogo perché c’è poco o nulla da dire. La politica non risponde  più né a regole logiche, né a codici di comportamento. E i politici non danno  più conto a nessuno, né all’elettorato (sempre più distratto e lontano), né  alla stampa, né a sbiaditi organismi politici sempre meno autorevoli.Un tempo c’erano i  partiti che davano delle indicazioni: partendo da Roma, dalla segreteria  nazionale a quella regionale, provinciale e di qui a quella locale. Oggi i  partiti sono evanescenti, e a comandare sono i gruppi attorno a un leader, e  questo vale per la destra come per la sinistra. A partire dal livello nazionale,  scendendo fino a quello locale, la credibilità di una leaderhip è legata al  solo carisma del capo: in Forza Italia il riferimento è il leader Berlusconi,  in AN Fini, nell’UDC Casini, nell’Italia dei Valori è Di Pietro. A sinistra  c’era un leader maximo, D’Alema.  Bersani oggi è molto meno autorevole perché condizionato dalle correnti  massimaliste interne che fanno capo a Franceschini e alla Bindi, per cui, anche  uno ragionevole come lui, ha finito coll’impantanarsi in uno sterile  sistematico contrasto col capo del Governo. Quando Bersani era ministro  dell’Industria nel governo Prodi, lo abbiamo ammirato perché ad Anno Zero e a  Ballarò era l’unico leader di sinistra che anziché evocare sempre l’ombra di  Berlusconi, faceva delle “sue” proposte; mentre Franceschini, da segretario  generale del PD, del capo di Forza Italia aveva l’incubo, e le sue  dichiarazioni erano sempre solo repliche a quello che aveva fatto o detto  Berlusconi in giornata. Deprimente. C’eravamo illusi che Bersani fosse diverso,  e invece purtroppo - ahimé - anche lui ha finito col seguire passo passo ogni  più piccolo movimento del grande avversario, dimenticando che la gente,  l’elettorato, vuole finalmente sentire delle proposte “proprie”. Va bene,  d’accordo, la manovra finanziaria sarà sbagliata, ma vivaddio non limitiamoci a  criticarla, facciamo anche noi le nostre proposte. E  invece, sempre una sterile critica di rimando.
 E l’atteggiamento verso l’oltranzista Di  Pietro? Tamquam non esset, né a favore né contro, pratica sospesa in attesa di  eventi.
 Se le cose politiche non sono chiare a  livello nazionale, figurarsi a livello locale, dove anche qui non ci sono  regole, non c’è disciplina, non ci sono segreterie che tengano, ma ognuno  persegue il proprio tornaconto politico per cui assistiamo periodicamente a dei  violenti sussulti che hanno per posta il rinnovo dell’assetto amministrativo.
 E l’opposizione? È affidata  all’estemporaneità di questo o quell’intervento personale, mentre nel suo  complesso l’opposizione è latitante. Cioè non è capace di produrre un progetto  alternativo generale, ma spesso è incerta anche nella presentazione di semplici  proposte correttive di quelle della maggioranza. E del resto come potrebbe  esprimere una posizione unitaria, se i politici più rappresentativi non si  incontrano mai in forma organica? Eppure esponenti qualificati non ne mancano.  Proviamo a delinearne una mappa. Al vertice della nomenclatura c’è Gianni  Alfarano consigliere di opposizione in Consiglio regionale e Mariagrazia  Vitobello segretario politico di Forza Italia. A seguire Luigi Antonucci  consigliere provinciale (questa volta in maggioranza, ma unico esponente eletto  di quell’area); Cefola e Damiani assessori provinciali rispettivamente alla  ecologia e alle finanze; consiglieri comunali Gianni Alfarano, Dario Damiani,  Carlo Di Bello, Marcello Lanotte, Dino Maffione, Lucilla Soricaro, Antonio  Luzzi, Pino Rizzi, Mariagrazia Vitobello. Altri esponenti rappresentativi di  spicco Michele e Rino Dibenedetto, Antonio Comitangelo, Oronzo Cilli, Stella  Mele, Gennaro Rociola, Michele Damato.
 E fra meno di un anno ci aspettano le  elezioni amministrative. Con quale programma presentarsi all’elettorato? E con  quali candidati?
 E a sinistra? Dopo i risultati elettorali  dell’anno scorso, alle provinciali, sembrava che il PD fosse scomparso dalla  scena elettorale cittadina; ma quel forte ridimensionamento era frutto della  discesa in campo di Francesco Salerno che aveva portato tre consiglieri nella  nuova realtà provinciale (con lui Michele Dicorato e Giuseppe Di Paola), tre  consiglieri però di opposizione all’attuale formula di centro. Non parliamo,  per carità, del complesso nodo della scelta della sede legale della nuova  provincia. È un problema che nasce da lontano e che meriterebbe un discorso a  parte. Resta il fatto che l’area di sinistra si è prontamente ripresa nelle  ultime regionali, mandando tre esponenti in Consiglio regionale: Ruggiero  Mennea, Filippo Caracciolo e Franco Pastore. In altri tempi, applicando il  criterio della rappresentanza elettorale, avremmo avuto certamente un assessore  in Giunta regionale, e invece nulla, perché l’unico esponente barlettano  entrato nell’esecutivo - Maria Campese - è frutto di una scelta squisitamente  personale del Presidente, legata alla sua corrente politica.
 Grandi  fermenti, anche qui, grandi sussulti in previsione della seduta di bilancio del  Consiglio comunale proprio nell’ambito della maggioranza, di concerto con  l’elezione del nuovo segretario politico cittadino (Franco Caputo che ha  prevalso di pochi voti su Nicola De Fazio), e sullo sfondo, una  riappacificazione fra Maffei e Salerno, cioè fra l’attuale e il vecchio  sindaco. Come interpretare questo gesto distensivo? Positivamente, se  contribuirà a restituire un clima di maggiore serenità allo scenario operativo  amministrativo. I tempi sono difficili e le scelte non sempre popolari, per cui  è auspicabile che vi sia una solida, fattiva, maggiore armonia attorno alle  nostre istituzioni.
 
 Renato Russo(7 luglio 2010)
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