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Cento anni fa, il prof. Lattanzio
Ricordo del professore a cent'anni dalla nascita

Venerdì 20 luglio la signora Rita Scuro Lattanzio è deceduta, alla veneranda età di 98 anni. Non ce l’ha fatta ad aspettare pochi giorni ancora, appena una settimana che la separava dalla ricorrenza centenaria dalla nascita del marito, il prof. Ruggero Lattanzio, che vogliamo ricordare per rendere un doveroso omaggio a chi, con competenza e professionalità, nella seconda metà del Novecento, portò la nostra struttura sanitaria ai vertici delle stime regionali e fu promotore dell’attuale presidio ospedaliero.

Ruggero Lattanzio nacque a Barletta il 27 luglio 1912 da Vito Lattanzio e Nunziatina Sarcina, famiglia benestante, quarto di sei figli (dopo Antonia, Celeste, Maria e prima di Tommaso ed Enrico).
Le prime date della sua intensa biografia ci restituiscono un giovanissimo sportivo, campione di corsa veloce, recordman italiano junior nel 1928 a Napoli con 9” netti negli 80 metri; nel 1930 campione centro meridionale nel salto in lungo con 6,92 metri ai Campionati di Roma. Nel 1933 il giovane promettente atleta barlettano promosse la nascita della prima squadra di pallacanestro della città. Poi, ancora, nel 1935, nello Stadio della Vittoria di Bari, fu recordman pugliese con 11” netti nei 100 metri (record che durerà per 23 anni, fino al 1958!).
Si laureò quindi in medicina presso l’Università di Bari, dove iniziò la specializzazione in chirurgia presso la clinica diretta dal prof. Carlo Righetti, praticantato interrotto perchè chiamato alle armi nell’estate del ’40, allo scoppio della seconda Guerra Mondiale, come sottotenente medico.
Assegnato al 33° contingente sanitario, fu inviato sul fronte greco-albanese a Berat e Tepeleni dove svolse una intensa pratica chirurgica operando centinaia di feriti provenienti dai diversi fronti di combattimento. E fu in questa circostanza che gli balenò l’idea di formare il primo nucleo donatori di sangue a beneficio dei feriti più gravi. Non era solo un abile chirurgo, il dott. Lattanzio, ma aveva anche uno spiccato senso organizzativo per cui, dopo pochi mesi, fu trasferito col grado di tenente a Tirana per riorganizzare il reparto chirurgico dell’ospedale di campo dell’Armata.
Nel 1942, nel pieno della guerra, sposò Rita Scuro, figlia dell’avv. Luigi, Presidente della Cementeria e fondatore della sezione locale del Partito Popolare, che gli darà tre figli, Vito, Pier Luigi, (entrambi medici) e Pia docente di lettere. Nel 1945 fu infine congedato col grado di maggiore e insignito della Croce di ferro al merito.
Rientrò nella clinica Carlo Righetti dove continuò la sua esperienza fino agli inizi degli anni Cinquanta quando, nel biennio 1950-’51, sostituì di fatto l’illustre clinico nella direzione dell’Istituto.  In quel tempo alternò la pratica in sala chirurgica con le pubblicazioni scientifiche, ben ottantacinque, su riviste specializzate, conseguendo la docenza in clinica chirurgica.
Negli anni passati in clinica si distinse per le alte qualità operatorie, didattiche e scientifiche. Per la precisione e la disciplina che metteva nel suo lavoro, era chiamato “il duca di ferro”. Dopo che il prof. Righetti lasciò la clinica nell’autunno del ’51, nonostante i ripetuti inviti del nuovo direttore a rimanere, l’anno dopo scelse di concorrere al posto di primario chirurgo bandito presso l’Ospedale di Barletta.
Ci sono innumerevoli date che segnano il curriculum vitae del prof. Lattanzio, ma forse ce n’è una che meglio di ogni altra compendia a sua forte personalità e la sua inesauribile laboriosità, ed è proprio questa del 1952, un anno straordinario, ricco di eventi e di luminose prospettive (quell’anno aveva quarant’anni ed era nel pieno della sua maturità professionale). Conseguì infatti il più importante obiettivo della sua multiforme attività sanitaria: dopo aver vinto il concorso a cattedra della Clinica Chirurgica dell’Università di Cagliari (prospettiva che lo avrebbe però tenuto lontano dalla sua terra) essendo risultato anche vincitore del concorso per Primario chirurgo dell’Ospedale di Barletta, scelse la sua città, ove prese servizio il 17 luglio.
Per le sue riconosciute doti organizzative, assunse presto anche l’incarico di Direttore sanitario. Cominciò col dotare tutti i servizi necessari a trasformare un piccolo nosocomio in  un centro sanitario di eccellenza portando il numero dei posti letto da 50 a 400.
Direttore sanitario e formidabile organizzatore della struttura ospedaliera, non dimentichiamo però che il suo ruolo principale restava quello di primario chirurgo che svolgeva con determinazione e professionalità, mentre la sua fama varcava i confini della città per richiamare un gran numero di nuovi pazienti. Sotto il suo primariato chirurgico (fino al 1986) giunse ad effettuare annualmente circa 2800 interventi di media e alta difficoltà.
Provetto chirurgo, un vero maestro della chirurgia, formò numerosi assistenti, cinque dei quali conseguirono la docenza universitaria (Circella, De Feo, De Luca, Lojacono e Russo), mentre in  dodici divennero primari nell’Ospedale di Barletta o in altri nosocomi (Bafunno, Circella, De Feo, De Fazio, De Luca, Falcone, Falconetti, P. Lattanzio, V. Lattanzio, Lojacono, Messina e Russo). Dei suoi primi tempi nell’Ospedale di Barletta e dell’equipe della quale seppe circondarsi, c’è restata una bella e significativa testimonianza, una foto del 1959, che lo vede attorniato dall’intero corpo sanitario ospedaliero.
Sotto la sua direzione sanitaria(fino al 1970) oltre a potenziare i reparti esistenti, fu promotore della nascita di sette nuovi reparti ospedalieri: ginecologia, ortopedia, neurologia, chirurgia infantile, cardiologia, pronto soccorso, urologia.
Nel 1952, In seguito ad un incontro avuto a Barletta col presidente nazionale dott. Vittorio Formentano, fondò anche a Barletta una sezione dell’AVIS, la prima sezione regionale donatori di sangue che si distinse per il gran numero di soci e quindi di donazioni delle quali il professore stilava una rendicontazione annuale che pubblicizzava - premiando i più meritevoli - nel corso di una manifestazione alla quale diede sempre il carattere della familiarità.
Mentre l’AVIS-Trasfusioni era ubicata nell’Ospedale con l’ingresso dall’atrio, l’attività sociale si svolgeva in una grande confortevole sede in via Baccarini, nei locali della famiglia Lattanzio, dove venne allestita anche la redazione di un interessante bollettino mensile (“Sangue e Vita”) che notiziava sull’attività dell’associazione. Numerose le ramificazioni nate dall’attività avisina, come quella degli Universitari cattolici provenienti dalla Fuci.
Alla prima sezione di donatori di sangue legò anche la nascita del gruppo sportivo che portava lo stesso nome e che raggiungerà numerose affermazioni nei diversi settori praticati: atletica, pallacanestro, tennis, scuderia automobilistica.
Nel 1960 fondò l’Amatori Tennis Club, uno dei circoli più forti della Puglia; nel 1968 fu promotore del Trofeo Internazionale di Tennis che contò dodici edizioni.
Nel 1964 fu anche cofondatore della gara di canottaggio più lunga del mondo (120 Km a remi), la “Caccavallo”, su due percorsi e per quattro edizioni: la Brindisi-Bari negli anni ’64-’65-’66 e la Barletta- Monopoli  nel ’69 che gratificò l’armo avisino  barlettano di un bronzo.
In atletica, degno continuatore dei suoi successi giovanili fu Pietro Mennea, avisino fino al 1972, che ben presto però spiccò il volo verso traguardi nazionali ed internazionali portando il nome della città di Barletta sul tetto del mondo. Inoltre il G.S. AVIS di atletica leggera, nella marcia, fu Campione d’Italia per otto anni consecutivi, dal 1963 al 1970, vincitore del trofeo “Altimani”.
Non ancora pago dei risultati conseguiti, il professore si fece promotore dell’apertura di una confortevole cappella per consentire agli ammalati di avere un punto di ricovero religioso, specialmente per assistere alla santa messa domenicale. Fondò quindi una Scuola allievi professionali, una biblioteca scientifica e la Società medico-chirurgica che volle intitolare col nome del suo maestro, “Prof. Righetti” (oggi intestata a “C. Righetti e R. Lattanzio”) dove si tenevano periodicamente interessanti conferenze.
Il prof. Lattanzio, nel corso dei trent’anni in cui resse il nostro Ospedale come Direttore sanitario e Primario chirurgo, sviluppò un’intensa attività che portò in pochi anni la struttura ospedaliera di Barletta ai vertici sanitari regionali. Egli esplicava tutte le sue capacità di organizzatore che portarono la struttura ospedaliera e il reparto chirurgico ad una capacità ed efficienza elevatissima. Accentuandosi l’inadeguatezza della struttura sanitaria rispetto alle aumentate richieste di ricovero ospedaliero, il professore propose e ottenne di occupare i locali di Palazzo Pappalettere su Corso Cavour (del quale l’ultimo proprietario, il canonico Francesco Stellatelli, aveva fatto donazione all’Ospedale civile) impostandovi e realizzando l’Ospedaletto dei Bambini, con due reparti di pediatria, uno di otorino pediatrico, sala operatoria, laboratorio e radiologia pediatrica.
L’Ospedale Umberto I, sotto la incisiva direzione del professore, fece in quegli anni un gran passo in avanti in quantità e qualità: la media giornaliera dei ricoverati raggiunse e superò il numero di 750 (per 815 posti letto). La struttura ospedaliera era diventata frattanto del tutto inadeguata, così il professore cominciò a pensare alla realizzazione di un nuovo più grande ospedale.
Questo, del nuovo ospedale è un capitolo a parte, per il quale bisogna riandare indietro nel tempo, sul finire degli anni Cinquanta. Infatti, già nel 1959 il commissario prefettizio dell’Ospedale civile di Barletta, dott. Gustavo Prezzolini, aveva conferito all’ing. Vitantonio Lozupone l’incarico per la progettazione di una nuova struttura ospedaliera.
L’ing. Lozupone, con la collaborazione dell’ing. Lucio De Pergola, redasse un progetto che prevedeva che l’edificio fosse formato da tre ali convergenti su un corpo centrale, con seminterrato e piano rialzato e una previsione di 449 posti letto.
Il progetto più aggiornato, datato 1972, ebbe una previsione di mille posti letto distribuiti in un monoblocco articolato su piastra, secondo l’orientamento che accoglie ancora oggi i maggiori favori nel campo delle realizzazioni tipologiche ospedaliere.
Ma anche questa scelta fu controversa, finché non fu insediata una commissione per la scelta del suolo. Insomma, una storia infinita, finché il nuovo ospedale sarà finalmente inaugurato nel luglio del 2004 dal presidente della Regione Puglia Raffaele Fitto. Ma ormai il professore non c’era più.
Scomparve infatti nella notte del 4 agosto 1987, all’età di 75 anni, per un’embolia polmonare, da lui stesso diagnosticata. Vivissimo fu il dolore non solo dei suoi familiari, ma anche dei suoi allievi, di tutto il personale ospedaliero che aveva lasciato appena un anno prima, degli avisini, degli sportivi e di una città intera che aveva beneficiato della sua opera.
Il Comune, per ricordarlo gli intitolò una corta strada d’accesso al nuovo ospedale, benché sarebbe stato forse più giusto attribuirgli l’intitolazione dell’intero complesso ospedaliero, visto che, in larga misura, ne era stato il principale promotore.
Oggi quella modesta intitolazione, nell’ultimo tratto del lungo viale che porta al nuovo Ospedale, non gli rende merito, anche perché, non essendoci alcuna abitazione, lungo il suo breve tracciato privo di indirizzi, non ci sarà mai un recapito a cui far pervenire un ringraziamento per tutto quello ch’egli ha fatto per la nostra città.

Renato Russo
(12 settembre 2012)

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