|   Quel piccolo monumento funebre all'ingresso del Cimitero di Barletta Che ruolo ebbe la morte del figlio  Tommaso sul trasferimento di Vecchi a Trani?E che fine fece l’inconsolabile madre  Luisa Penna dopo la morte del marito?
 Valdemaro Vecchi,  il grande tipografo alessandrino che nel 1869 aveva fissato la sede della sua  attività a Barletta, nel giugno del 1877, stipulò un contratto triennale di  fitto col Comune che scadeva il 31 agosto 1880 con la precisa clausola del  divieto di subaffitto. Sappiamo invece che si trasferì anzitempo a Trani, e che  a questo passo pare sia stato indotto proprio dalla prematura morte del  figlioletto Tommaso (affettuosamente chiamato Tommasino), di appena quattro  anni, spentosi il 31 dicembre 1879 per i postumi di una febbre malarica,  perdita che gli lascerà una ferita dolorosa che neppure il tempo e gli  assillanti impegni di lavoro riusciranno a rimarginare. Si giunse al 1879 e la morte del mio  unico figlioletto mi fece abbandonare Barletta e la tipografia che cedetti ad  un mio bravo discepolo il quale la conduce ancora oggi con ottimo e meritato  successo. In un’altra delle sue rare pagine  autobiografiche sugli anni passati a Barletta, ricorda: Oltre  le care amicizie che conservo a Barletta, là, nel Camposanto, riposano le  ceneri del mio unico figlio, un bambino che idolatravo e che era la speranza  della mia vita. E quelle amicizie e quella sacra memoria mi legheranno a  Barletta per la vita e per la morte.
 A perenne ricordo del figliolo, il Vecchi  commissionò allo scultore Giuseppe Manuti un monumento funebre che venne  collocato sul viale d’accesso del Cimitero, dove il 2 novembre di ogni anno gli  inconsolabili genitori deporranno una corona di fiori.
 La vedova Luisa Penna Quanto alla mamma, Luisa Penna, ebbe un  momento di notorietà solo nelle giornate che seguirono la morte del marito, il  9 febbraio 1906. Riservata e sensibile, essa fu vera dolente protagonista di  quelle luttuose giornate invernali. Strappata al suo abituale riserbo dalle  innumerevoli attestazioni di cordoglio di cui fu destinataria nelle tristi ore  che seguirono alla morte del marito, invano abbiamo cercato di scoprire, dalla  loro lettura, qualche risvolto inedito della sua persona.Di Luisa Penna sappiamo pochissimo e quel  poco che sappiamo è legato alle poche date che segnano i quarantadue anni  vissuti all’ombra di un marito tutto preso del suo lavoro, indaffarato dodici  ore al giorno, senza svaghi né frequentazioni salottiere, senza pause  vacanziere, al quale resterà devotamente legata per tutta la vita, senza però  mai comparire, se non come una figura diafana sullo sfondo di una vita priva di  sussulti, senza contorni somatici definiti, senza mai uno slancio emotivo di  gioia o di afflizione.
 Così sarà quando, appena quattordicenne, nel  1864 sposerà Valdemaro, e poi quando lo raggiungerà a Barletta agli inizi del  1869 (nei suoi ricordi Valdemaro racconta il suo primo solitario viaggio a  Barletta), oppure quando, nel 1875, gli nascerà il figlio Tommasino, com’essa  lo chiamava nell’intimità del loro focolare; e poi quando, appena quattro anni  dopo, gli morirà fra le braccia, nella notte dell’ultimo giorno del 1879.  Persino di questa dolorosa perdita nulla è trapelato dai ricordi del Vecchi che  con la sua abituale riservatezza rammenta soltanto la propria sofferenza, senza  mai far cenno a quella della compagna, che deve essere stata straziante, per  essere quel bambino la sua sola ragione di vita, in una quotidianità così  solitaria.
 Lo stesso avverrà in occasione della morte  del marito, quando dal suo comportamento, traspare appena un barlume di  dolorosa vitalità, in quel breve cenno riferito nella cronaca dell’ultimo  giorno di vita del Vecchi, nella prima pagina della “Rassegna Pugliese”,  quand’essa cerca come può di rincuorare il marito, che invece le risponde  rassegnato di sentirsi sfuggire la vita.
 E un altro riferimento umano e toccante che  la riguarda, in quei tristissimi giorni, è il telegramma della madre Vittoria  che le telegrafa da Alessandria la sua partecipazione all’evento luttuoso; e  finalmente la immaginiamo sciogliersi in un pianto liberatorio, lei che tutta  sola e smarrita deve aver subito in solitudine il trambusto di tutta quella  gente. Il secondo telegramma, di Benedetto Croce, partecipa lo strazio del suo  cuore per la dolorosa perdita ma, al tempo stesso il Croce, uomo di pensiero ma  anche d’azione, quello stesso giorno telegrafa a Giovanni Laterza chiedendogli  di garantire alla povera signora adeguati mezzi di sostentamento, perché  consapevole delle ristrettezze economiche nelle quali essa versava.
 Di queste dolorose giornate essa resta dunque  l’unica protagonista, occupando la scena del dramma, tutta sola e in gramaglie,  subissata da una moltitudine di condoglianze.
 Da questo momento non ne sapremo più nulla  perché sparisce in maniera repentina e definitiva, senza niente reclamare per  sé. Ignoriamo persino se abbia seguito il corteo funebre per le strade di  Trani, come non sappiamo se abbia presenziato ad alcuni eventi celebrativi in  memoria del marito; allo stesso modo il suo nome non compare mai negli atti  documentali sugli sviluppi societari dopo la scomparsa del Vecchi, nei quali si  affacciano le figure dell’avv. Giuseppe Protomastro che ne tutelerà l’aspetto  economico (la ditta era subissata da debiti), del socio Giuseppe Pietrarota che  rileverà la conduzione della tipografia, e di uno sbiadito Evaristo Vecchi,  fratello di Valdemaro.
 In una fredda serata di fine febbraio, senza  neppure partecipare alle solenni celebrazioni commemorative per il marito che  si sarebbero celebrate un mese dopo nel Teatro Comunale di Trani, tutta sola,  la signora Luisa prese l’ultimo treno per il Nord e con un po’ di bagagli  ritornò ad Alessandria, presso la madre.
 Quanto le sarà costato percorrere  quell’ultimo tratto di strada, attraversare piazza della Repubblica, imboccare  viale della Stazione e ancora una volta, l’ultima, soffermarsi a contemplare  palazzo Sarri, dove quasi per trent’anni il marito s’era consumato a leggere  manoscritti, a impostare progetti editoriali, a comporre e stampare libri, senza  tregua, per essere poi all’ultimo ripagata da quella città ingrata con cinica  indifferenza. Era troppo, e se ne andava senza commiati, con un groppo in gola  e tanta amarezza nel cuore.
 Proviamo a immaginare questo lungo viaggio  solitario da Trani verso Alessandria, circa novecento chilometri, tutta sola  nel suo freddo scompartimento. Una galleria di ricordi a scorrerle nella mente  come i lunghi filari di alberi che accompagnano la sua notturna corsa verso il  Nord, sconvolta dal lancinante dolore per la repentina morte del marito e lo  struggente rimpianto per quell’unico figlioletto scomparso cinque lustri prima,  che lasciava per sempre nella nuda terra del cimitero di Barletta, senza  neppure la consolazione della deposizione di un ultimo fiore sulla sua tomba  disadorna.
 Un viaggio a  ritroso nel tempo, che un po’ ci ricorda quello del marito compiuto tanti anni  prima. Eppure quanto diversi fra di loro i due percorsi: quello di Valdemaro  inquieto e nondimeno denso di fiduciose attese per un futuro ricco d’incognite,  al contrario di quello di Luisa, quasi l’epilogo di una vita tanto ricca di  soddisfazioni morali, eppure così drammaticamente crudele.
 Renato  Russo     
 
 
 
 1. Valdemaro Vecchi (1840-1906)2. Reclame  della “Tipografia Municipale V. Vecchi e Soci”, con lo stemma del Comune
 3. Veduta  prospettica dell’ex convento di S. Domenico. A pianoterra V. Vecchi gestiva la  sua tipografia municipale
 4.  Monumento funebre di Tommaso Vecchi, terzo a sinistra sul vialetto d’ingresso  del Cimitero di Barletta (fotorudy)
   |